venerdì 5 gennaio 2018

La polemica sui sacchetti biodegradabili per l'ortofrutta






La verità, vi prego, sugli shopper da 1 centesimo





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Dario Stevanato



Ce la dice l'economista e tributarista Dario Stevanato.
La rivalsa obbligatoria del prezzo dei sacchetti per la spesa non è una tassa, ma a che serve?








Contrariamente a quanto affermato da molti mezzi di informazione, quella sui sacchetti biodegradabili per l’ortofrutta non è una tassa o una misura tributaria, semmai una “prestazione imposta in base alla legge” (art. 23 Cost.).
Non è infatti prevista una destinazione dell’introito all’ente pubblico o il suo utilizzo per servizi pubblici: il prezzo dei sacchetti, da riaddebitare obbligatoriamente ai consumatori, va a formare i ricavi del rivenditore e non deve certo essere riversato all’erario. E’ appunto un caso di prestazione patrimoniale imposta non avente natura tributaria: i consumatori rimangono incisi dalla rivalsa del prezzo dei sacchetti, subendo una decurtazione patrimoniale, ma lo scopo non risiede nel finanziamento della spesa pubblica né sta a fronte di un servizio pubblico reso al singolo (come appunto accade nelle “tasse”). Si tratta semmai di una componente del prezzo dei beni acquistati dai consumatori di alimenti, che anziché essere lasciata al funzionamento delle logiche del mercato è oggetto di una norma imperativa.
L’art. 9-bis della L. 123/2017 opera in due direzioni.
Da un lato vieta l’utilizzo dei normali sacchetti di plastica per confezionare gli alimenti, consentendo soltanto l’uso di sacchetti ultraleggeri di plastica biodegradabile per la pesatura di frutta, verdura, pane, etc.
Dall’altro vieta però ai rivenditori di distribuire gratuitamente i sacchetti biodegradabili (gli unici utilizzabili dal 1.1.2018) e impone che gli stessi siano pagati dai consumatori, visto l’obbligo di rivalsa che dovrà risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati.
Curiosamente, non si prevede la rivalsa sui consumatori del “costo” di acquisto dei sacchetti sopportato dal rivenditore, ma la separata indicazione del "prezzo di vendita per singola unità”, il che rende legittima sia l’applicazione un ricarico che - direi - una vendita dei sacchetti sottocosto (che non sarebbe equivalente a una "distribuzione a titolo gratuito”).
Ma qual è la finalità della norma? Pare sia quella di sensibilizzare i consumatori sui “costi sociali” dell’utilizzo di materiali inquinanti (anche i sacchetti biodegradabili contengono plastica e comportano costi di smaltimento), ma logica vorrebbe che la prospettiva del pagamento inducesse i consumatori a usare materiali alternativi per gli imballaggi, ipotesi che appare per ora abbastanza incerta (uso di imballaggi in carta? o che altro?), e comunque non facilmente gestibile da rivenditori e consumatori.
Il pagamento dei sacchetti di plastica da parte dei consumatori avrebbe un senso se servisse a scoraggiare l’uso di materiali inquinanti, per favorire altri materiali più ecosostenibili, ma fino a quel momento appare una misura davvero singolare, utile solo a irritare l’opinione pubblica, che ha la sensazione di pagare un balzello aggiuntivo.
Far pagare le esternalità negative delle produzioni o dei consumi inquinanti, come nelle imposte pigouviane, ha un senso quando l’onere è posto a carico di chi è responsabile dell’inquinamento, ma nel caso dei sacchetti per gli alimenti i consumatori non sono responsabili di alcunché, non avendo alternative plausibili di confezionamento né trattandosi di consumi voluttuari o superflui da cui ci si può astenere. Inoltre, la rivalsa ha il solo effetto di manlevare dal costo i rivenditori di alimenti (integrando i loro ricavi), cioè proprio i soggetti che esercitano l’attività lucrativa che impone oggettivamente l’uso dei sacchetti per la spesa, e che potrebbero ricevere un indebito arricchimento dalla rivalsa, nella misura in cui il costo dei sacchetti fosse già compreso nei prezzi delle merci, che dubito saranno ritoccati al ribasso per tener conto dell’obbligo di rivalsa analitica in vigore dal 1° gennaio.
Questa misura non è invece di per sé in grado - come si è sospettato - di favorire le imprese operanti nel settore dei sacchetti biodegradabili, che semmai sono favorite dall’aver messo fuori legge i sacchetti di plastica tradizionali o altri materiali non consentiti: la produzione di queste imprese sarebbe infatti attivata allo stesso modo anche senza obblighi di rivalsa sui consumatori dei costi dei sacchetti della spesa, cioè anche qualora questi costi restassero a carico dei rivenditori (salvo comunque traslarli a valle inglobandoli forfettariamente nei prezzi al dettaglio delle merci).
La singolarità e le perplessità sugli effetti della misura mi sembrano infine accentuate da un’altra considerazione: perché introdurre una norma dirigistica che interviene in un rapporto interprivatistico, riguardante le decisioni dei supermercati e rivenditori in genere di traslare sul prezzo dei prodotti il costo di un particolare tipo di imballaggi (sacchetti ultraleggeri per il confezionamento di alimenti sfusi da pesare), peraltro poco inquinanti e tendenzialmente privi ad oggi di plausibili alternative, quando invece nel caso dei numerosissimi prodotti già confezionati che utilizzano imballaggi in plastica il costo ad essi relativo non è separatamente evidenziato e dunque il consumatore non ne è consapevole?

Dissesto idrogeologico





Il ripristino delle pianure alluvionali
e delle zone umide offre soluzioni vantaggiose contro le inondazioni





Investire in queste "infrastrutture verdi" non solo genera maggiori benefici ambientali e socioeconomici, soprattutto a lungo termine, ma riduce anche la quantità di investimenti finanziari necessari per difendersi dalle inondazioni dannose. Questa è la conclusione di una nuova relazione dell'Agenzia europea dell'ambiente (AEA) pubblicata recentemente.






Il rapporto dell'AEA "Infrastrutture verdi e gestione delle alluvioni - promuovere la riduzione dei rischi di inondazione efficiente in termini di costi attraverso soluzioni infrastrutturali verdi" delinea le sfide e le opportunità poste dall'utilizzo di opzioni più rispettose dell'ambiente per rafforzare le difese contro le inondazioni dei fiumi. Il rapporto esamina in particolare sei casi di studio sui bacini fluviali dell'Elba (Germania), del Rodano (Francia), della Schelda (Belgio) e della Vistola (Polonia) e sottolinea la positività del ripristino delle loro pianure alluvionali.

Incremento del rischio di inondazioni
Le alluvioni dei fiumi e le piene improvvise rimangono tra i rischi naturali più frequenti in Europa. Circa il 20% delle città europee è vulnerabile alle inondazioni fluviali. L'aumento dell'urbanizzazione e della impermeabilizzazione del suolo, insieme alla conversione o al degrado delle zone umide, hanno contribuito ad aumentare il rischio di alluvione e si prevede che la frequenza e l'intensità delle inondazioni aumenteranno nei prossimi decenni. Ciò comporta un aumento del rischio per l'economia, le infrastrutture edificate e la salute umana.
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Per secoli, sono stati compiuti sforzi per controllare le inondazioni in tutta Europa. I fiumi sono stati costretti da argini e le dighe sono state costruite per proteggere i terreni vulnerabili. Tali misure hanno trasformato il paesaggio naturale ed alterato il flusso dell 'acqua in tutta Europa. Le zone umide sono state convertite in uso agricolo ed urbano e i fiumi sconnessi dalle loro pianure alluvionali naturali. L'uso di queste strutture create dall'uomo può contribuire in modo significativo a ridurre il rischio di inondazioni ma spesso ha un costo finanziario considerevole ed un costo enorme per la capacità di assorbimento idrico locale e per gli ecosistemi fluviali. La loro costruzione ha anche aumentato il rischio di inondazioni più a valle a causa di picchi d'acqua più alti o cumulativi e di una maggiore velocità dell'acqua.

Le soluzioni basate sulla natura
Budget limitati, regolamenti e politiche europei aggiornati su acqua, agricoltura, adattamento climatico e cambiamenti climatici, stanno guidando la spinta verso soluzioni di investimento più sostenibili per affrontare le sfide poste dalle inondazioni. Utilizzare infrastrutture verdi come pianure alluvionali e zone umide sono investimenti meno costosi. Hanno bisogno di poca o nessuna manutenzione e sono molto più rispettosi dell'ambiente rispetto alle dighe o alle barriere di cemento, che possono creare problemi agli ecosistemi locali. Tali siti possono fornire benefici ulteriori rispetto alla protezione dalle inondazioni, come il sequestro del carbonio, i rifugi per la fauna selvatica, le opportunità ricreative e l'acqua pulita. Un buon esempio di tali misure è dimostrato dal piano nazionale olandese "Room for rivers".
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La strada da percorrere
Il rapporto afferma che è necessario fare di più per migliorare le conoscenze, le esperienze e le capacità nell'adattare i regolamenti edilizi per includere soluzioni basate sulla natura per le difese contro le inondazioni in molti Stati membri dell'UE. Rileva, inoltre, che è necessario un coordinamento migliore sui piani di gestione delle alluvioni tra aree a monte ed a valle e tra Paesi che condividono fiumi, per migliorare il processo decisionale e l'attuazione di infrastrutture verdi per la gestione del rischio di alluvioni.


giovedì 4 gennaio 2018

da la Repubblica - Bari.it del 04 gennaio 2018





Quel che resta del borgo murattiano

a Bari 





Bari, l'ultimo giardino del centro è un capolavoro nascosto
L'ingresso di Palazzo Dell'Aquila
Bel reportage fotografico di Silvia Dipinto nel palazzo dell'Aquila, in piazza Garibaldi a Bari. Una testimonianza della lungimiranza urbanistica ed estetica del viceré Gioacchino Murat e della "resistenza" dimostrata dai discendenti di una delle famiglie dell'alta borghesia intellettuale barese contro lo scempio che assedia il capoluogo pugliese.




Bari, l'ultimo giardino del centro è un capolavoro nascosto
Capannina con lume a gas
Nell'antico lume a gas, dove due secoli fa brillava la fiammella, ha trovato spazio una rosa. È la primavera nel giardino che resiste al tempo e al cemento, forse l'ultimo superstite nel quartiere murattiano. L'angolo di verde che non t'aspetti si nasconde tra i palazzi che circondano piazza Garibaldi. Il tesoro di palme, glicine, arance e cycas è custodito tra la piazza e via Abate Gimma. "Viviamo qui dall'Ottocento, quando abbiamo acquistato il palazzo dal suo costruttore, il pretore napoletano Francesco Cammarano", raccontano gli eredi della famiglia dell'Aquila, proprietari dello splendido edificio datato 1860. Il colonnato ottocentesco in stile dorico, i lumi con le manopole del gas, la maestosa scalinata, gli affreschi coi puttini e con i motivi floreali: tanto si è conservato dietro il massiccio portone grazie ai restauri e alla passione della famiglia, che ha ricostruito la storia del palazzo e del suo cortile spulciando tra gli archivi privati. E che ancora prova a dare risposte a un intrigante mistero, quello dell'esistenza del teatro Cammarano, che pare si trovasse all'interno del palazzo. "Quando fu costruito il nuovo borgo murattiano, la presenza del verde era obbligatoria - ricordano - Infatti la legge murattiana istituì, per ogni proprietà terriera, l'edificazione dei due terzi, mentre la restante parte doveva adibirsi a giardino". Due secoli sono bastati a fare scomparire fiori e alberi sotto il peso delle case, innalzate ben oltre gli originari primi piani.
Bari, l'ultimo giardino del centro è un capolavoro nascosto
Colonnato in stile dorico

mercoledì 3 gennaio 2018

Riceviamo da Franco Pedrotti, Professore emerito di Botanica dell'Università di Camerino





Contro la costruzione di un depuratore nella piana di Pescasseroli





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La Piana di Pescasseroli


La Piana di Pescasseroli corrisponde al fondovalle alluvionale dell'Alta Valle del Sangro nel tratto compreso fra Opi e Pescasseroli (m 1000- 1100 circa). Essa è occupata da una vegetazione erbacea di praterie umide e palustri appartenenti a diverse associazioni vegetali formate di ranuncoli (Ranunculus velutinus), orzo perenne (Hordeum secalinum), carice acuta (Carex gracilis) e molte altre specie ecologicamente e fitogeograficamente interessanti (Pedrotti, Gafta, Manzi, Canullo, 1992). Queste praterie vengono regolarmente sfalciate a luglio e aperte al pascolo a settembre, dopo che è avvenuto un ricaccio di molte specie, le cosiddette “erbe seconde” (Manzi, 1990). La Piana è attraversata dal Sangro, lungo il quale è sviluppata una fascia di vegetazione ripariale formata in grande prevalenza da salice bianco (Salix alba). La vegetazione della Piana di Pescasseroli è in parte secondaria (le praterie umide e palustri) e in parte primaria (la vegetazione ripariale) ed oggi si trova in un ottimo stato di conservazione.

La Piana di Pescasseroli costituisce una particolare “unità ambientale” in tutto il territorio del parco, perchè è unica e non se ne riscontrano di analoghe in tutto l'Appennino centrale. un'unità ambientale è una porzione relativamente omogenea di territorio dal punto di vista ecologico, dunque per gli aspetti geomorfologici e biologici e per l'influsso esercitato dall'uomo (Pedrotti, 2013), nel caso della Piana di Pescasseroli la gestione delle praterie mediante lo sfalcio e il pascolo.

Questa unità ambientale è rappresentata sulla Carta delle unità ambientali del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise in scala 1: 50.000 (Martinelli, 2013; Pedrotti E Martinelli, 2015). Oltre che nella Piana di Pescasseroli, nell'alta Valle del Sangro di trovano altre due aree (di ridotta dimensione), situate a monte di Pescasseroli, di praterie umide e palustri, come si può notare sulla carta citata.

Erminio Sipari negli anni '20, con una grande intuizione, aveva ben compreso le caratteristiche essenziali del paesaggio (oggi diciamo preferibilmente ambiente) dell'alta Valle del Sangro e della Marsica, che in questi ultimi anni sono state dimostrate scientificamente con la carta delle unità ambientali prima citata, che distingue 52 tipologie diverse.

Progetto di un lago artificiale
nella Piana di Pescasseroli

Subito dopo l'istituzione del Parco Nazionale d'Abruzzo, è sorto il progetto di costruire due bacini artificiali a Barrea e Opi; quello di Opi, in particolare, avrebbe sommerso completamente tutta la Piana di Pescasseroli con grave danno per l'ambiente e per la sua particolare vegetazione delle praterie umide. Erminio Sipari si schierò subito contro la realizzazione dei due bacini e lottò in prima persona con un atto di opposizione (Sipari, 1925, 1927b e 1927c). La lotta contro la costruzione dei bacini artificiali è stata molto dura, anche con riflessi sulla stampa nazionale, ad opera degli on. Paolo Orano e Gioacchino Volpe (Orano, 1926 e Volpe, 1927); nell'articolo di quest'ultimo sul Corriere della Sera del 24 febbraio 1927 si parla, penso per la prima volta nel nostro paese, di “nemici” del Parco Nazionale d'Abruzzo, i primi di una lunga serie che sembra non avere mai fine. La lotta contro i laghi artificiali si è conclusa positivamente soltanto per il bacino di Opi, mentre quello di Barrea venne costruito (Sipari, 1928). Sipari, in seguito, farà questo commento: per la difesa del paesaggio, il parco ha dovuto combattere aspre ed annose battaglie. Ma la sua conclusione suona così: è meraviglioso che una nazione così carica di storia, senza distruggere le vestigia del passato, anzi religiosamente conservandole e restituendole sempre di più all'onore della luce, compia prodigiosi lavori, rifuggendo da distruzioni inutili e praticando una intensa messa in valore delle ricchezze naturali. Oggi possiamo dire che non si è trattato soltanto di una battaglia per salvare il paesaggio, ma l'ambiente nel suo insieme: una delle prime battaglie ambientaliste che si sono combattute in Italia.

Progetto di un depuratore
nella Piana di Pescasseroli

Una nuova grave minaccia incombe ora sulla Piana di Pescasseroli. Infatti è stata approvata la costruzione di un depuratore che dovrebbe essere costruito nelle praterie centro-superiori della Piana di Pescasseroli. Risulta subito evidente, anche ai più sprovveduti in questioni ambientali, che la costruzione del depuratore - per quanto necessaria - provocherebbe un enorme impatto sulla Piana, con uno sconvolgimento totale dell'ambiente e del paesaggio. Si tratta di un progetto scandaloso che - se venisse realizzato – costituirebbe sicuramente un atto criminoso contro l'ambiente, in quanto l'area interessata si trova all'interno di un parco nazionale, in una zona che si è mantenuta integra per secoli e che oggi verrebbe brutalmente danneggiata. Non esiste nessuna compatibilità fra l'impianto previsto (l'edificio del depuratore e i suoi collegamenti) e l'ambiente nel quale sarebbe destinato ad essere costruito; questa valutazione è valida da due punti di vista: ambientale (ecologico) e paesaggistico (visivo). Tali affermazioni non si basano su posizioni aprioristiche, ma sugli studi vegetazionali, ecologici e paesaggistici eseguiti in zona con i miei collaboratori dell'Università di Camerino e con il prof. Marcello Martinelli, della Facoltà di Geografia, Università di San Paolo, Brasile (vedi lavori citati in precedenza).
C'è, poi, un aspetto morale, che non si può in alcun modo tralasciare. Infatti i terreni interessati alla costruzione del depuratore, già di proprietà di Erminio Sipari ed ora della Fondazione Sipari, sono stati espropriati al fine di realizzarvi il nuovo depuratore. Dal punto di vista etico, si tratta di un'operazione indegna, di un affronto alla memoria del fondatore e primo presidente del Parco Nazionale d'Abruzzo. Si tratta proprio di quegli stessi terreni che Erminio Sipari negli anni '20 era riuscito a salvare dalla costruzione di un lago artificiale e che ora, a distanza di 90 anni, sono nuovamente minacciati fra l'indifferenza generale. Sorprende, di conseguenza, che l'Ente autonomo Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise non abbia preso una posizione chiara contro il progetto del nuovo depuratore. C'è da domandarsi a cosa serva un parco che non sa difendere il proprio territorio, per quale ragione sia mai stato istituito; la difesa del territorio è un obbligo che deriva dalla stessa legge istitutiva del parco. C'è da rimanere sorpresi e allibiti, perchè il parco è un bene pubblico che va difeso nell'interesse di tutti. Per usare le parole che ha usato Erminio Sipari contro la costruzione del lago di Opi, si tratterebbe di un progetto in isfregio agli interessi della nazione, dell'alta Valle del Sangro e del parco (Sipari, 1926).
Rimane sicuramente, peraltro, il problema del depuratore. L'alternativa è costituita dalla possibilità di un ampliamento dell'attuale depuratore o il suo spostamento in zona poco lontana dal sito attuale, come è stato proposto dall'Associazione Italiana per la Wilderness.
Il Comune di Pescasseroli e l'Ente autonomo Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise hanno l'obbligo di rinunciare all'idea di costruire il depuratore nella Piana di Pescasseroli e di mettere definitivamente da parte tale insano progetto.


BIBLIOGRAFIA

Manzi A., 1990 - La gestione dei pascoli montani in Abruzzo e laSocietà delle Erbe Seconde di Pescasseroli ed Opi. ArchivioBotanico Italiano, 66 (3- 4): 129-142.

Martinelli M., 2013 – La cartografia delle unità ambientali delparco nazionale d'abruzzo. Colloques Phytosociologiques, XXIX: 375- 382.

Orano P., 1926 – Una vittoriosa difesa del nostro paesaggio. LaStirpe, IV(6): pp. 289-292.

Pedrotti F., 2013 - Plant and vegetation mapping. Heidelberg, ed. Springer.

Pedrotti F., Martinelli M., 2015 – Carta delle unità ambientali del Parco Nazionale d'Abruzzo (1: 50.000). In: Cristea V., Gafta D., Pedrotti F., Fitosociologia. Trento, ed. TEMI.

Pedrotti F., Gafta D., Manzi A., Canullo R., 1992 - Le associazioni vegetali della Piana di Pescasseroli (Parco Nazionale d’Abruzzo).Documents Phytosociologiques, XIV: 123 – 147.

Sipari E., 1925 – Atto di opposizione del Comune di Pescasseroli contro la formazione del lago artificiale di Opi. Roma, Tip.Colombo.

Sipari E., 1926 – Relazione del Presidente del Direttorio provvisorio dell'Ente autonomo del Parco Nazionale d'Abruzzo alla Commissione amministratrice dell'ente stesso, nominata con regio decreto 25 marzo 1923. Tivoli, Tipografia di A. Chicca (ristampa anastatica in tre edizioni speciali dell'Ente autonomo Parco Nazionale d'Abruzzo, Roma, 1997- 1998, a cura di F. Tassi e F. Pratesi).

Sipari E., 1927a – Atto di opposizione alla progettata formazione dei laghi artificiali di Opi e di Barrea. Roma, Tip. della Camera dei Deputati.

Sipari E., 1927b – Atto aggiuntivo di opposizione 3 aprile 1927 alla progettata formazione dei laghi artificiali di Opi e di BarreaRoma, Tip. della Camera dei Deputati.

Sipari E., 1928 – Il Parco Nazionale d'Abruzzo liberato dall'allagamento. Il Centauro. Rivista mensile dell'Abruzzo-Molise, I(1): pp. 7-22.

Volpe G., 1927 – Il Parco Nazionale d'Abruzzo e i suoi nemici. IlCorriere della Sera, 24 febbraio 1927.

Zunino F., 2017 – Erminio Sipari e il depuratore di Pescasseroli.Una storia moderna tutta italiana. Murialdo, Associazione Italiana per la Wilderness (AIW).

da RSPB






Gli agricoltori del Regno Unito una speranza per gli uccelli delle fattorie






Secondo un nuovo studio pubblicato oggi, gli agricoltori del Regno Unito hanno il potenziale per contribuire a invertire il drammatico declino degli uccelli delle fattorie negli ultimi 40 anni se supportati finanziariamente dopo la Brexit.






Una nuova ricerca, finanziata da Natural England e Defra, e pubblicata nella rivista di conservazione e scienza Animal Conservation, ha utilizzato sei anni di dati di rilevamento per tracciare i cambiamenti nell'abbondanza di uccelli nelle fattorie.
Lo studio ha coinvolto oltre 60 aziende agricole nell'ambito di accordi HLS in tre regioni inglesi tra il 2008 e il 2014. Ha rivelato che 12 delle 17 specie di uccelli di terra hanno mostrato un cambiamento positivo nell'abbondanza, andando contro il calo del 56% del numero di uccelli delle fattorie ​​a livello nazionale dal 1970.
Il Farmland Bird Index, una delle più importanti misure di biodiversità, è aumentato tra il 31% e il 97% in diverse regioni nell'ambito di un livello superiore di Stewardship (HLS) nel periodo 2008-2014. La risposta media di 17 specie di uccelli prioritarie alla gestione di HLS è stata un aumento dell'abbondanza del 163% (cioè il numero di uccelli è più che raddoppiato).
I risultati degli agricoltori e dei gestori di terreni che lavorano su sistemi agroambientali HLS sono stati confrontati con le aziende agricole nel più ampio paesaggio agricolo del Regno Unito. I risultati mostrano che gli agricoltori hanno il potenziale per fornire ampi e rapidi aumenti della popolazione in un numero di uccelli agricoli in difficoltà, come allodola, storno e fanello, se ricevono finanziamenti e sostegno per gestire le loro terre in modo ecosostenibile.
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Allodola (Alauda arvensis)
Il Segretario all'ambiente Michael Gove ha dichiarato: "I nostri agricoltori sono gli amici della terra e questi risultati dimostrano chiaramente il ruolo vitale che svolgono nel proteggere la nostra fauna selvatica e nell'incrementare la biodiversità. Lasciare l'UE ci dà l'opportunità di fare di più per proteggere il nostro ambiente e la natura selvaggia, sostenendo gli agricoltori per gestire gli habitat ricchi e le specie preziose sotto la loro amministrazione in un modo più sostenibile. Questi risultati mostrano che con la giusta gestione e un supporto più mirato per gli agricoltori, possiamo invertire il declino nel numero dei nostri uccelli selvatici".
Will Peach, capo della sezione ricerca della RSPB, ha dichiarato: "Il Regno Unito ha subito una massiccia perdita di fauna selvatica dagli anni '70 e gli Indicatori Wild Bird di Defra, pubblicati solo il mese scorso, mostrano che questa perdita è continuata negli ultimi 5 anni. Il nostro ultimo studio mostra che quando gli agricoltori sono supportati per adottare approcci che rispettano la natura, la vita degli uccelli riprende rapidamente. Molti agricoltori stanno facendo grandi cose per la fauna selvatica e senza i loro sforzi la campagna sarebbe indubbiamente in una posizione di molto peggiore. Abbiamo la conoscenza e gli strumenti per invertire il declino degli uccelli nelle terre coltivabili; ciò di cui abbiamo bisogno ora è la volontà politica di attuarli più ampiamente".
Fanello (Linaria cannabina)
Queste nuove informazioni arrivano mentre il governo del Regno Unito sta valutando come investire in un sistema agricolo migliore dopo la Brexit. Queste nuove scoperte dimostrano che, se si forniscono i finanziamenti e gli aiuti giusti, gli agricoltori possono avere un ruolo fondamentale nel creare una campagna ancora una volta viva con il suono degli uccelli.
Jenna Hegarty, la principale esperta in politica di utilizzo del territorio dell'RSPB, ha dichiarato: "Il Regno Unito ha il potenziale per mostrare al mondo che la nostra nazione può fare qualcosa che nessun altro è riuscito a realizzare: un fiorente settore agricolo per la natura e per le persone.
Per raggiungere la promessa del governo britannico di lasciare l'ambiente in uno stato migliore per le prossime generazioni, i governi di tutto il Regno Unito devono abbandonare i pagamenti agricoli basati sulla dimensione delle proprietà fondiarie verso un modello che riconosca il ruolo unico che i nostri agricoltori devono svolgere per aiutare la natura. Ciò significa investire il
budget esistente in un sistema migliore che funzioni per la natura, sostenere le fattorie e portare benefici a tutti nel Regno Unito ".

mercoledì 27 dicembre 2017

In #Colorado (#USA) da EnviroNews Colorado








#Puma e #OrsiNeri per ora l'hanno scampata







La Corte distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto del Colorado ha bloccato un Piano di controllo dei predatori con cui si eliminerebbero tra i 15 e i 45 Puma e da 30 a 75 Orsi neri per un periodo di tre anni sul versante occidentale del Colorado e oltre la metà della popolazione di leoni di montagna in un'area di 2.370 miglia quadrate nel Colorado centro-meridionale.





Orso nero (Ursus americanus)
Buone notizie per gli animali selvatici e per coloro che li amano. Un Tribunale federale ha temporaneamente bloccato un piano controverso per uccidere i leoni di montagna (Puma concolor) e gli orsi neri (Ursus americanus) su terre pubbliche in Colorado. La sentenza segna la più recente in una serie di vittorie per gruppi ambientalisti contro il governo federale.
La sentenza congiunta, pronunciata il 6 novembre 2017 dalla Corte distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto del Colorado, nasce da una causa avviata ad aprile dai gruppi di conservazione WildEarth Guardians e dal Center for Biological Diversity contro il programma dell'US Wildlife Department del Dipartimento dell'Agricoltura (WSU) finalizzato, mediante il controllo dei predatori, a verificare se se tale prelievo aumenti le popolazioni di Cervi muli (Odocoileus hemionus).
Cervo mulo (Odocoileus hemionus)
Wildlife Services è un ramo del servizio di ispezione sanitaria per animali e piante (APHIS) dell'USDA, e collabora con il Colorado Parks and Wildlife (CPW). I gruppi di conservazione hanno criticato a lungo il Wildlife Service per la sua pratica di uccidere importanti predatori come una forma di "gestione". Nel 2016 quest'ultimo ha ucciso un totale di 2,7 milioni di animali, compresi 1,6 milioni di specie native.
L'agenzia deve ora sospendere le pratiche di controllo dei predatori in alcune parti dello stato fino ad agosto 2018; a quel punto sarà necessario presentare una nuova valutazione ambientale (EA) ai sensi della legge sulla politica ambientale nazionale (NEPA) per determinare gli impatti ecologici generali dei piani.
Leone di montagna (Puma concolor)
Il piano di gestione del Predator Piceance Basin del CPW e il piano di gestione del predatore del fiume Arkansas eliminerebbero tra i 15 e i 45 leoni di montagna e da 30 a 75 di orso nero per un periodo di tre anni sul versante occidentale del Colorado e oltre la metà della popolazione di leoni di montagna in un quadrato di 2.370 metri quadrati -mile area nel Colorado centro-meridionale.
Il divieto temporaneo blocca anche il dispiegamento di M-44 - dispositivi attivati ​​a molla contenenti capsule di cianuro di sodio tossico usati per uccidere coyote, volpi e cani selvatici.
Nel 2016, l'APHIS ha riferito di 60 coyote uccisi intenzionalmente dagli M-44 in Colorado insieme a tre volpi e due corvi uccisi involontariamente.
"Il nostro obiettivo finale con la sfida di questa valutazione ambientale è che vogliamo davvero che i servizi per la fauna selvatica diano un'occhiata a quello che stanno facendo e agli effetti sull'ambiente", ha detto Stuart Wilcox, agente per i guardiani di WildEarth, a EnviroNews in un colloquio telefonico.


Nel Parco Nazionale del Gran Paradiso







Le spettacolari immagini del #gipeto nel primo

Parco Nazionale alpino italiano












Le spettacolari immagini di un gipeto in volo a pochi metri dalla webcam di sorveglianza sono state registrate dai guardaparco del Gran Paradiso in Valsavarenche, nei dintorni di uno dei nidi frequentati dal grande avvoltoio che, dopo l’estinzione del 1913, è ritornato a popolare le valli dell’area protetta negli ultimi anni.
E’ proprio questo il periodo in cui le coppie di gipeti scelgono il nido per riprodursi, il successo delle nascite e della sopravvivenza dipende da molti fattori e soprattutto dalla scelta del luogo dove accoppiarsi e dove costruire il nido. Importante quindi garantire il massimo della tranquillità, così da lasciare i gipeti liberi di scegliere dove deporre le proprie uova, e ridurre al minimo il nostro disturbo.
La scelta del Gran Paradiso come luogo di nidificazione non è casuale, il Parco infatti è territorio ideale per il gipeto per diversi motivi: la facilità di reperire cibo, grazie all’abbondanza di fauna selvatica, la possibilità di trovare spazi idonei alla nidificazione, grazie alla conformazione delle pareti rocciose, ma soprattutto per la tranquillità che può trovare solo in un’area protetta, in cui sono vietati i sorvoli con elicottero o altri mezzi, e in cui il disturbo antropico è ridotto.
Oltre al nido ripreso dalla webcam in Valsavarenche, anche un nido in Valle di Cogne è frequentato da un’altra coppia di gipeti, che ha scelto per il terzo anno consecutivo le pareti rocciose della Valnontey per nidificare.
E’ stata quindi istituita una zona di protezione nei dintorni della cascata di ghiaccio denominata “Fallo di Plutone”, in cui è proibito arrampicare, addentrarsi e disturbare i siti di nidificazione, comprese le attività di osservazione ravvicinata per foto e riprese. Le misure di tutela che sono state adottate perché la nidificazione vada a buon fine, limitano l’attività di arrampicata su ghiaccio in una zona molto modesta della Valnontey che potrà continuare ad ospitare gli arrampicatori nel resto del suo territorio.
Importante per questo motivo anche le attività di divulgazione e di sensibilizzazione svolte in collaborazione con la Società delle Guide Alpine e con gli operatori turistici di Cogne, che già negli scorsi anni si sono dimostrati attenti all’evento e hanno ribadito il proprio impegno nell'aiutare a far comprendere l’importanza della zona di protezione ai tanti arrampicatori che frequentano la Valnontey in inverno.
Oltre alle attività di prevenzione in essere, il monitoraggio del gipeto da parte del corpo di sorveglianza è quotidiano. Il controllo dei siti di nidificazione, in particolare durante la cova e la schiusa dell’uovo, e prima dell’involo del pullo (il piccolo di gipeto) viene fatto dai guardaparco, insieme ai tradizionali strumenti, con mezzi tecnologici particolarmente avanzati, al fine di assicurare un adeguata protezione ai “tesori” del vero e proprio scrigno della biodiversità che è il Parco.