lunedì 26 ottobre 2015

da "The Independent" - 26 ottobre 2015 - di Olivia Blair





Gli inglesi vincono una battaglia contro gli scoiattoli grigi. Ma solo una battaglia.






Scoiattoli grigi ormai estinti in Anglesey, nel Galles del Nord, dopo 18 anni di campagne di abbattimenti.





Un'isola nel Regno Unito, ha eliminato gli scoiattoli grigi (Sciurus carolinensis), con l'obiettivo di proteggere la popolazione di scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris). Anglesey, Galles del Nord, si è dichiarata libera della variante grigia della specie all'inizio di quest'anno, non avendo visto uno scoiattolo grigio dal 2013. L'isola ha raggiunto questo status dopo 18 anni di campagne di abbattimenti, che vengono ora estesi alla vicina contea Gwynedd sotto l'egida della Heritage Lottery Fund.
Il dottor Craig Shuttleworth, consulente della Red Squirrel Survival Trust (l'Associazione per la sopravvivenza della scoiattolo rosso) ha detto alla BBC: " Gli scoiattoli grigi sono animali invasivi e che semplicemente non dovrebbero essere qui. Il progetto "scoiattolo rosso" ha agito come una cartina di tornasole per gli abbattimenti di altre specie invasive. Se non avessimo potuto avere successo con questi simpatici animali e pelosi, che speranza ci sarebbe per specie meno attraenti?".
Tuttavia, molti ritengono l'abbattimento di scoiattoli grigi crudele e ingiusto. Angus Macmillan - che ha iniziato una petizione per fermare la mattanza e ha raccolto 140.000 firme, ha dichiarato alla BBC: "Io ritengo che sia moralmente sbagliato uccidere i membri senzienti di una specie per proteggere i membri di un altra solo perché considerata aliena".
Gli scoiattoli grigi sono arrivati nel Regno Unito dagli Stati Uniti nel XIX secolo. Si ritiene che siano stati portatori di parapoxvirus che colpisce direttamente ed in modo letale le popolazioni di scoiattolo rosso  che hanno pochi anticorpi per combattere il virus. La popolazione degli scoiattoli grigi nel Regno Unito è di circa cinque milioni di esemplari, mentre quella di scoiattoli rossi è compresa tra 120.000 e 140.000 esemplari. Il 75 per cento di scoiattoli rossi sono in Scozia.

domenica 25 ottobre 2015

da "La Nuova Sardegna - ed. Sassari" - 25 ottobre 2015







L'Isola di Budelli resta privata. Ecco perché.







Il Parco Nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena aveva opposto il diritto di prelazione alla vendita dell'isola tra privati. Ma non poteva farlo in assenza del Piano per il Parco. Un'ovvietà che il Consiglio di Stato aveva sancito ad aprile scorso. Ma si ripropone il problema dei Piani per i Parchi Nazionali che giacciono anni nei cassetti delle Regioni per essere approvati.






Lentezze e burocrazia hanno consegnato il paradiso della sabbia rosa allo straniero. La battaglia di Budelli è stata vinta da Michael Harte sfruttando abilmente un cavillo, facendo leva su un aspetto rivelatosi fatale dal punto di vista di chi teme per l’integrità della mitica località resa celebre da un film: l’assenza di un piano del parco in vigore. Lo rivela Gian Domenico Tenaglia, il legale dell’avvocatura dello Stato che davanti al Tar aveva difeso gli interessi del Parco della Maddalena, deciso a strappare l’isola al manager neozelandese facendo valere il diritto di prelazione.
Quindi la decisione del Consiglio di Stato che dava torto all’Ente presieduto da Bonanno. Tenaglia è categorico: «La battaglia è persa, Harte è il nuovo padrone di Budelli. Tornare indietro sarà un’impresa impossibile». L’avvocato va avanti. Spiega che il giudice per le esecuzioni fallimentari del tribunale di Tempio non ha potuto fare altro che prendere atto e adeguarsi al Consiglio di Stato. «L'isola era oggetto di proprietà privata, apparteneva alla società Nuova Gallura, la quale aveva molti debiti; quando è fallita, i suoi creditori hanno venduto all'asta l’isola, che è stata comprata da Harte. L’Ente Parco ha esercitato il diritto di prelazione che le spetta secondo la legge 394/1991, quando un bene di interesse ambientale oggetto di proprietà privata viene venduto: pagando la stessa cifra dell’acquirente il Parco può diventarne proprietario. L'Ente l'ha fatto, bloccando l’operazione del neozelandese, ma Harte ha avviato una causa amministrativa, finita davanti al Tar, che ha respinto il ricorso, ritenendo soddisfatte tutte le condizioni richieste dalla legge».Harte a questo punto ha fatto ricorso al Consiglio di Stato: «Qui gli interessi del Parco erano curati dai colleghi dell’avvocatura generale di Roma, e Harte ha vinto facendo leva su una questione formale: l'Ente Parco non ha ancora un piano del parco, o meglio l'ha approvato ma non è ancora efficace (giace sui tavoli della Regione, in attesa di ulteriori passaggi, ndc). Il giudice di Tempio in sede di esecuzione, ha tratto le conseguenze inevitabili, essendo la prelazione stata giudicata illegittima dal giudice amministrativo».Insomma, per Tenaglia la sorte della causa era segnata. «Peccato, perché 
Giuseppe Bonanno - Presidente
Parco Naz.le Arcipalego di La Maddalena
l'Ente Parco aveva in progetto diverse belle cose da fare – commenta il legale –. Ma c’è da dire che Harte si è presentato come un appassionato di cose ambientali, un benefattore, e non resta che da sperare che faccia bene: i vincoli d’altronde risultano dalle norme, limitano le prerogative del proprietario. Budelli resta un bene supervincolato».
Vincoli che però sono stati di recente allentati: «Anche se non è stata riconosciuta la protezione massima, come il Presidente Bonanno chiedeva – dice Tenaglia – , i nuovi proprietari potrebbero fare ben poco, solo cose compatibili col grandissimo interesse ambientale dell'isola. Certo non potrebbero mettere in pericolo la Spiaggia rosa, dato che in tutti questi anni il parco ha lavorato sulla rigenerazione della sostanza che la rende tanto particolare. E penso che non sia nemmeno nelle intenzioni del signor Harte creare danni ambientali. Speriamo in una collaborazione».

Ancora sull'immissione di cinghiali da parte dei "cacciatori" - da "Gruppo di discussione italiano sulla ricerca faunistica" vertebrati@liste.cilea.it






Cinghiali allevati per la caccia sotto casa. #2
Una riflessione di Giuseppe Bogliani*.







Giuseppe Bogliani
Se, come me, vi siete chiesti più volte: “poiché il cinghiale si era estinto in gran parte delle foreste europee con la diffusione delle armi da fuoco ad avancarica, come mai non si riesce a ridurne drasticamente il numero o a eradicarlo oggi, quando agiscono squadre dotate di armi ben più efficienti, di radioriceventi, di mezzi fuoristrada, di cani addestrati, in aree ad agricoltura intensiva nelle quali le aree di rifugio sono isolate e per nulla impenetrabili?”.
Succede per esempio nell’Oltrepo Pavese collinare, occupato in gran parte da vigneti intensivi, con pochi boschi sparsi; oppure in Lomellina, area di risicoltura intensiva con pochissime aree boschive, in gran parte aree protette.
Giaggiolo siberiano (Iris sibirica)
Un pensiero maligno lo avevo fatto più volte, soprattutto sentendo i racconti di alcuni conoscenti e consapevole dello “spessore” etico e tecnico di taluni “gestori” locali della fauna.
La presenza del cinghiale in zone intensamente coltivate, densamente abitate e solcate da strade, sta creando vari problemi in termini di danni a coltivazioni (vigneti, risaie) e rischio per le persone (quotidiani gli incidenti stradali). Aggiungo che il danno ad alcune specie vegetali e a parte della mesofauna del suolo è localmente gravissimo (pressocché estinta la popolazione un tempo localmente comune di Iris sibirica; danneggiate molte delle 38 specie di orchidee della zona); ma di quest’ultimo aspetto non importa nulla a nessuno.
Oggi il quotidiano locale da’ la notizia che mi aspettavo: la polizia provinciale (in verità sono i benemeriti agenti caccia e pesca in fase di smantellamento), hanno localizzato quattro allevamenti in un’area fra le più interessanti per i vigneti DOC dello spumante. A parte il "buon gusto" di sparare da altane ad animali in recinto (leggete la descrizione), sono state accertate liberazioni deliberate di animali “pronta caccia” anche fuori dai recinti.
Questo conferma la mia idea: se si vuole eliminare il cinghiale dalle zone non vocate, occorre vietarne la caccia in modo totale in quelle aree e affidare l’abbattimento alle sole guardie provinciali. Niente selecontrollori, altrimenti la giostra ricomincia a girare come ora.

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* Professore Associato di Zoologia presso il Dipartimento di Scienze della Terra e dell'Ambiente dell'Università degli Studi di Pavia

da "La Provincia Pavese" -  24 ottobre 2015




Cinghiali allevati per la caccia sotto casa. #1

Ecco chi crea i problemi.




Allevamenti abusivi che hanno portato i cinghiali in zone in cui un tempo erano sconosciuti, come la Lomellina. 





Quattro allevamenti abusivi di cinghiali scoperti dalla polizia provinciale, che ha denunciato i proprietari. A quanto sembra uno degli allevamenti era addirittura una riserva di caccia privata a pagamento: come nei laghetti per la pesca sportiva. I quattro recinti sono stati trovati nei territori comunali di Canneto Pavese, Montesegale, Stradella e Rocca dè Giorgi. Quest’ultimo, in particolare, aveva tutte le caratteristiche della riserva di caccia privata, a cominciare dall’estensione: sei ettari e mezzo. Gli uomini del comandante Mauro Maccarini nei giorni scorsi hanno effettuato una serie di controlli mirati a verificare l’esistenza di recinti illegali di animali selvatici, in particolare ungulati (come i cinghiali e i caprioli). Durante il blitz gli agenti hanno trovato quattro recinti irregolari, sequestrando 20 cinghiali. I proprietari dei recinti sono stati denunciati alla procura di Pavia per violazione delle leggi sul commercio di specie animali e vegetali in via di estinzione, e per violazione delle norme per la commercializzazione e detenzione di esemplari di mammiferi e rettili che possono costituire un pericolo per la salute e l’incolumità pubblica. Reati che vengono sanzionati con importi che variano da un minimo di 15 mila euro a un massimo di 300 mila euro. In due dei recinti sequestrati gli agenti hanno trovato delle gabbie-trappola: un mezzo di caccia non consentito. I proprietari hanno ricevuto una multa di 1549 euro, con denuncia penale, cui è stata aggiunta un’altra violazione penale per «caccia in periodo di divieto generale». In questo ultimo caso le ammende vanno da un minimo di 929 euro a un massimo di 2582 euro. Altre sanzioni sono state elevate per violazione del regolamento regionale sugli allevamenti di fauna selvatica. «Questi allevamenti abusivi - spiegano le associazioni ambientaliste - sono uno dei motivi che hanno portato i cinghiali in zone in cui un tempo erano sconosciuti, come la Lomellina. Sono alcuni cacciatori poco scrupolosi a
Altana per la caccia in Veneto
immetterli in modo illegale sul territorio, per poter andare a caccia vicino a casa. E’ un business redditizio. I cinghiali sono molto fertili: una femmina può fare 12 piccoli all’anno. Con tre coppie di cinghiali dopo un anno possiamo avere più di 40 esemplari. Tutti sanno che questi animali non sono destinati alla macellazione in proprio». La legge vieta di allevare cinghiali per immetterli sul territorio. Le gabbie sequestrate quindi servivano per catturare cinghiali nel territorio e portarli negli allevamenti, dove farli riprodurre. La caccia al cinghiale si fa in due modi: con le squadre e i cani (al massimo 15 cacciatori) o in altana (una specie di torretta, per sparare agli ungulati dall’alto). Nel recinto di Rocca de Giorgi, un boschetto con un’estensione pari a una decina di campi da calcio, c’erano diverse altane: segno inequivocabile del fatto che la caccia veniva praticata lì dentro, da cacciatori che pagavano per farlo.

lunedì 19 ottobre 2015

da "Le Scienze - Scientific American" - 15 ottobre 2015





Un mammifero tra i dinosauri






Scoperto in Spagna, nel sito di Las Hoyas, i resti di un piccolo mammifero, simile all'attuale opossum, vissuto circa 125 milioni di anni fa.






Spinolestes xenarthrosus: con questo nome scientifico è stato battezzato il mammifero scoperto nel sito di Las Hoyas, in Spagna, vissuto circa 125 milioni di anni fa e descritto in un articolo pubblicato su "Nature" da Thomas Martin dell'Università di Bonn e colleghi spagnoli e statunitensi.
L'animale classificato come appartenente all'antico ordine dei triconodonti e simile per anatomia e dimensioni ad alcune attuali piccole specie di opossum, presenta resti di pelo e di tessuti molli in un eccezionale stato di conservazione, soprattutto considerando che sono queste le prime strutture anatomiche a degradarsi con il tempo.
L'analisi di S. xenarthrosus getta dunque una luce sulla notevole diversificazione dei primi mammiferi, durante l'era Mesozoica, tra 252 milioni e 66 milioni di anni fa, quando a dominare sulla terraferma erano i dinosauri. In questo periodo emersero le caratteristiche peculiari del mammiferi che si rivelarono poi il requisito fondamentale per il loro successo evolutivo dopo l'estinzione dei dinosauri avvenuta 66 milioni di anni fa.
Spinolestes xenarthrosus, un mammifero tra i dinosauri
Ricostruzione dell'aspetto di Spinolestes xenarthrosus (Oscar Sanisidro)

Il reperto descritto da Martin e colleghi è formato dallo scheletro completo e dalle tipiche caratteristiche anatomiche dei mammiferi, come pelo lungo, sottopelo, orecchio esterno e diverse strutture cutanee del dorso, tra cui minuscole spine, di spessore inferiore a un millimetro, simili a quelle dei ricci e di altri mammiferi attuali. Secondo l'analisi dei ricercatori, alcuni tessuti soffici fossilizzati del torace e dell'addome potrebbero essere i resti del muscolo diaframmatico.
Complessivamente, il reperto rappresenta la più antica testimonianza fossile, anteriore di ben 60 milioni di anni rispetto a quella nota finora e ben all'interno del Mesozoico, non solo della pelle e del pelo, ma dell'intero apparato tegumentario dei mammiferi, cioè dell'insieme delle strutture anatomiche deputate al rivestimento, alla secrezione e alla protezione dell'organismo.






Un altro reportage di Maurizio Bolognetti (Radicali Lucani)






Il suicidio delle carpe del Pertusillo






Pesci morti nell'invaso del Pertusillo e, a poca distanza il centro olii ENI della Val d'Agri. Come e perché le carpe siano morte è ancora un mistero almeno dal 2010...







domenica 18 ottobre 2015

da "The Independent" - 18 ottobre 2015 - di Alexander Sehmer





Esemplare di maschio di Alce (Alces alces)

Ai cacciatori piace la preda facile




Nel Nord della Norvegia un gruppo di cacciatori abbatte due alci ma si rende conto di averlo fatto in uno zoo!




In Norvegia un gruppo di cacciatori ha ucciso due alci prima di rendersi conto, secondi dopo, che avevano sparato attraverso una recinzione  per animali in uno zoo. Secondo il sito web The Local, i cacciatori hanno chiamato il giardino zoologico e segnalato il loro errore. Hanno detto che i cani utilizzati per la caccia alle alci avevano trovato la traccia nel recinto del Polar Zoo e non avevano capito che stavano sparando all'interno dello zoo, situato nella Norvegia del Nord, vicino alla città di Narvik. Heinz Strathmann, amministratore delegato dello zoo, ha detto di essere incredulo. "Penso che quanto accaduto sia molto triste, e non va bene - ha aggiunto Strathmann a "The Local" -. Avevamo cinque alci, ora abbiamo solo tre ".
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Potremmo solo aggiungere: roba da cacciatori. (F.M.)

da "Qual adagietto" Blog di Franco Botta - 18 ottobre 2015




L'economista e i lupi




Franco Botta, economista presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Bari ed "aspirante giardiniere", affronta il rinnovato rapporto tra uomini e lupi. E dice cose sensate. 





Franco Botta
Forse dipenderà dal fatto che pure gli uomini ormai dedicano molto tempo al proprio corpo, curando il loro aspetto. Di maschi con una peluria estera, sia sul torace che sulle spalle, e naturalmente sulle braccia e sulle gambe, non se ne vedono più sulle spiagge. Il bisturi ha poi reso gentile il volto di tanti, eliminando quei tratti marcati che si notavano prima, e che a volte inquietavano le persone più sensibili. I dentisti hanno fatto i resto, sostituendo senza esitazioni le dentature troppo aggressive. Poi vi sono i profumi a fare la loro parte. Per tutte questa ragioni e per altre che non possiamo qui richiamare, da qualche tempo, non si hanno più notizie dei lupi mannari che prima, anche in Puglia, s’incontravano con una certa facilità.

Ad impensierire sono oggi invece i lupi (quelli normali) che sono tornati a predare, come segnalano in tanti. Il lupo è un animale protetto e i danni che procura sono risarciti. Molti di questi ultimi potrebbero essere evitati, almeno in parte, adottando quelle tecniche che erano in uso quando con il lupo si conviveva , e che il mio amico forestale consiglia di riprendere. Naturalmente la paura del lupo, non nasce certo oggi, come mostra bene Daniele Zovi, in Lupi e uomini (Terra Ferma edizioni). Potremmo superarla solo se riusciremo a non essere più succubi di leggende e ad avere pensieri ispirati dalla ragione e dalla conoscenza del mondo animale da noi accumulata.
Il lupo è prezioso per noi perché può contribuire a ricreare nei nostri territori quegli equilibri dell’eco-sistema che abbiamo distrutto per ingordigia e ignoranza. Dobbiamo essere disponibili a rivedere le idee che abbiamo ereditato, accettando che molte fiabe in uso, a cominciare da quella di Cappuccetto Rosso, siano riscritte. per finire, e non dobbiamo neppure pensare che gli uomini lupo siano scomparsi dalla Terra, solo perché non riuscito a riconoscerli con facilità dal loro aspetto e dal loro odore. I lupi mannari, come gli uomini malvagi, esistono purtroppo, e conviene tenerne conto.

da "A view from the bridge - Blog di www.nature.com" - 16 ottobre 2015 - di Barbara Kiser





L'etica della cattura con le reti per ricerca scientifica






Il fotografo e birdwatcher Todd Forsgren intervistato sul metodo di cattura degli uccelli selvatici per inanellamento e per misurazioni che arricchiscono la conoscenza scientifica finalizzata alla loro protezione.




Molti ornitologi usano reti per catturare brevemente gli uccelli per raccogliere dati chiave o inanellarli prima del rilascio. Il fotografo e birdwatcher Todd Forsgren ha trascorso anni di lavoro con i ricercatori per catturare con le immagini quei momenti, ora raccolti in "Ornithological Photographs" (Daylight Books ed.). Parla dell'etica dell'uso delle reti di cattura, della sfida nel fotografare i colibrì e dei prossimi progetti come fotografare l'impegno per salvare specie a rischio di estinzione.

Pensi che l'uso delle reti di cattura sia etico? 

Tordo usignolo testanera (Catharus mexicanus).
Foto: TODD FORSGREN
Lo penso. Nel momento in cui gli uccelli vengono intrappolati nella rete sembra pericoloso, ma è un contributo importante per la raccolta di dati incredibilmente preziosi per la conservazione. Ad alcune persone non piace come pratica, tuttavia vi è una bassa incidenza di mortalità. A mio parere l'uso delle reti è giustificato, tanto più che una recente ricerca suggerisce che gli episodi di lesioni sono piuttosto bassi a causa della vigilanza e della rigorosa formazione degli inanellatori. Sono esponenzialmente maggiori i danni provocati ogni anno da gatti negli spazi aperti o dagli uffici con le loro luci lasciate accese per tutta la notte durante le migrazioni ed ancora dal cambiamento climatico (per esempio, i dati del programma di monitoraggio North American Monitoring Avian Productivity and Survivorship - MAPS -, suggerisce che le popolazioni di uccelli nel loro complesso sono in declino, in media, dell'1,77 % l'anno). Sono molto orgoglioso di dire che ogni uccello ho fotografato è stato rilasciato dagli ornitologi con il codice "300", cioè che è volato via senza alcun danno apparente. Al contrario, John James Audubon e altri primi pittori ornitologici avrebbero sparato agli uccelli per catturarli per le loro opere.

Come fai a fare questi 'ritratti', e qual è il tuo preferito?

Fondamentalmente, creo molto rapidamente uno studio fotografico. Ho un panno bianco come sfondo che un assistente tiene dietro l'uccello e un flash con un softbox (accessorio riflettore/diffusore da applicare al flash, n.d.t.) su di esso per creare il giusto tipo di effetti di luce e per "congelare" il movimento degli uccelli. Tutti gli uccelli che ho fotografato sono stati catturati nel corso di ricerche scientifiche ed ho sempre seguito il giudizio dello scienziato: se una specie è troppo sensibile o un esemplare è stato in rete per troppo tempo, non lo fotografo. La mia immagine preferita è quella di un tucano solforato (Ramphastos sulfuratus); è la più mostrata delle immagini, è così colorato e carismatico. L'ho fotografato durante un secondo viaggio in Costa Rica, il mio secondo e ultimo
John James Audubon
Colino della Virginia e Poiana spallerosse - Studio ad acquerello

giorno; non siamo mai riusciti a fotografarne uno durante il primo viaggio. Da giovane, ho visto per la prima volta un Mangiavermi (Helmitheros vermivorum), era così vivace ed è sempre stata una specie importante per me. I Colibrì sono molto frustranti da fotografare perché la profondità di campo è più o meno solo un pollice e loro spesso svolazzano in giro per un bel po'. Devi lavorare molto velocemente. Così, i tre colibrì che ho fotografato sono anche molto speciali.


sabato 17 ottobre 2015

Nel Parco Nazionale del Pollino





Divieto di arrampicata contestato.

Ma le motivazioni per il provvedimento ci sono tutte. #2





Incredibile ma vero! Franco Zunino (Associazione Italiana per la Wilderness - A.I.W.) difende il provvedimento del Direttore del Parco che sospende temporaneamente le arrampicate sportive.





La scrivente Associazione, che in tante occasioni ha sentito il dovere statutario di avanzare critiche ad attività gestionali del Parco Nazionale del Pollino, al contrario di altre associazioni e/o interventi di ambientalisti e/o praticanti attività turistiche, ritiene, pur con alcune riserve, di elogiare quanto deciso dalle autorità del Parco in merito al provvedimento in oggetto, pur, forse, troppo affrettatamente preso.
La motivazione è giusta; forse è solo sbagliata l’emanazione così, di punto in bianco, prima ancora di aver deciso dove applicare i divieti; ma, forse proprio per questo, estesi a tutto il territorio del Parco. Che certi divieti siano sacrosanti in un Parco Nazionale la scrivente Associazione non può che riconoscerlo in quanto in linea con le proprie finalità e con la filosofia che persegue; per cui non sente il dovere di criticarli né tanto meno di condannarli chiedendone l’abrogazione: l’AIW li ha sempre auspicati per ogni area protetta che si rispetti. Tanto più che molti di questi divieti sono anche applicati in molte Aree Wilderness d’America. Consentire certi itinerari, certi sentieri, certe arrampicate, certe discese fluviali o in grotta, non significa dover permettere tutto ciò sempre ed ovunque. Si tratta di stabilire il dove, il come ed il quando. Ma certamente non può esistervi completa libertà di movimento ovunque; altrimenti si arriverebbe a consentire tutto. Est modus in rebus!
Un Parco deve avere il dovere, il potere ed il coraggio di dire NO quando le ragioni di difesa dei valori ambientali cui è preposto lo richiedono; il dovere, il potere ed il coraggio di dire Basta: fin qui sì, più in là no. Nelle lettere che si è avuto modo di leggere, pur nell’evidente tentativo di giustificare le passioni di chi le ha stilate, paiono piuttosto sottilmente indirizzata a giustificare il tutto, mentre non dovrebbe essere così. Mischiare poi la scoperta di specie, di siti, ecc. col diritto ad andare ovunque e sempre è un escamotage per dire voglio andare ovunque e sempre senza limitazioni, anche se disturbo l’aquila o l’orso: è tipico degli escursionisti e degli alpinisti del CAI e di ogni altro organismo a finalità turistica e/o escursionistica; ma è egoistico interesse. Il primo rispetto per le cose ed i luoghi che si amano si dimostra rinunciandovi, quando la presenza diventa un disturbo o un danno: accontentarsi di sapere che certi luoghi o certe cose esistono dovrebbe essere il primo punto di un ipotetico decalogo dell’escursionismo. Specie quando la Natura diventa non tanto un luogo da vedere e di cui godere emotivamente, quanto una palestra per soddisfare piaceri fisico-ludici. Ad esempio, i Navajos hanno da tempo proibito ogni arrampicata sui tanti torrioni della Monument Valley; sul famoso El Capitan della Yosemite Valley vigono precisi divieti per controllare le attività alpinistiche; nello Joshua Tree National Park tante arrampicate sono state da tempo proibite. Nello stesso pur grande e selvaggio Denali National Park hanno posto un limite al numero degli alpinisti che vogliono scalare la vetta del Monte Mc Kinley. Nel Grand Canyon è da anni che il rafting subisce limitazioni di varia natura. E così dicasi per i percorsi in mountain bike su sentieri ed itinerari di montagna al di fuori di strade e/o piste carrozzabili.
Gerardo Travaglio, Direttore del Parco Nazionale del Pollino
Ecco, nel caso che stiamo affrontando, le autorità del Parco del Pollino hanno forse ecceduto, ma non nel voler stabilire regole “talebane”, ma nell’aver deciso a priori di estendere il divieto ovunque con un’urgenza che certamente non ha senso per la maggior parte del Parco. Solo per questo sono da criticare. Per il principio adottato, per una volta tanto le autorità del Parco vanno lodate. Si dialoghi e si trovino i giusti compromessi, che però dovranno anche stabilire quando, dove e quanto essere severamente per il NO. Ed uno dei punti fermi dovrebbe essere il quantum, un altro il dove e il quando nel caso delle nidificazioni di uccelli rapaci o di tane di mammiferi sensbili; ma anche il MAI per certe aree a rischio usura per la roccia o il terreno o per la vegetazione, compreso l’utilizzo di chiodi e simili. D’altro canto, anche una politica di carring capacity andrebbe sempre applicata in gran parte delle aree selvagge dei nostri Parchi, sia per il rispetto delle esigenze della Natura, sia per quelle degli stessi visitatori. Perché solo un numero chiuso può consentire una certa liberalizzazione delle attività.
Giustificare la propria presenza con la presunzione di essere rispettosi (asserzione che è una classica dichiarazione autoassolvente per tutti gli amanti della montagna!), non regge, se a stabilirlo sono gli interessati. Chi deve stabilirlo è un soggetto terzo tra fruitori e Natura: e può esserlo solo l’ente gestore di un’area protetta, che ne ha il mandato giudiziario. Che non si arrivi a ritenere l’apertura di cave, un atto di “valorizzazione” della Natura, solo perché scavandole si scoprono tracce geologiche altrimenti non visibili e quindi non studiabili (ci fu chi lo sostenne!). Ma questo non è conservazione della natura: è attività di studio, ed in un’area protetta anch’esse vanno disciplinate, anche severamente (in molti Parchi americani istituiti per proteggere giacimenti paleontologici è severamente proibito continuare a scavare ovunque; e così l’esplorazione di grotte).
Non si può, da un lato ammirare il concetto delle riserve integrali e pretenderne sempre di nuove, e poi criticarle quando i loro vincoli impediscono il ludico egoistico godimento di chi le vorrebbe liberamente violare! Nella difesa della bellezza e nell’apprezzamento della Natura, la rinuncia è la prima forma di rispetto: perché solo così si rispettano i diritti della Natura, la quale notoriamente non può difendersi o avvalersi di giudici per assicurarseli (i diritti): suoi giudici siamo noi o, meglio, dovremmo essere noi. Il Parco del Pollino in questo caso si è erto a giudice per la Natura; rispettiamo la sua decisione e collaboriamo a trovare la soluzione migliore che accontenti tutti, ma sempre con un occhio di riguardo ALLA NATURA prima che ai nostri ludici egoistici piaceri.

Franco Zunino - Direttore Gen. A.I.W.

Nel Parco Nazionale del Pollino




Divieto di arrampicata contestato.

Ma le motivazioni per il provvedimento ci sono tutte. #1





Il Direttore del più grande Parco Nazionale d'Italia ha disposto, con una semplice nota, che in tutto il territorio dell'area naturale protetta non si possano più effettuare attività di arrampicata su roccia. Forse il metodo non è dei più ortodossi, ma la tutela di importanti specie di uccelli rupicoli è prioritaria.





Il Direttore del Parco Nazionale del Pollino, Gerardo Travaglio, con nota n. 10577 del 5 ottobre 2015, ha disposto temporaneamente il divieto di arrampicata sportiva e alpinismo nel territorio
del Parco stesso, per la salvaguardia delle specie rupicole, vegetali e animali, che possono essere minacciate da tali attività sportive. Per questo motivo, le associazioni Altura – Calabria, LIPU Calabria e Stazione Ornitologica Calabrese, impegnate da tempo nella tutela dell’avifauna selvatica, hanno messo in evidenza, tramite loro rappresentanti, che il Parco Nazionale del Pollino, compreso nella zona ZPS (Zona di Protezione Speciale, ai sensi della Direttiva 79/409/CE “Uccelli”), ospita diverse specie di uccelli legate per la riproduzione alle pareti rocciose. Si tratta di esemplari, tra i quali l’avvoltoio grifone, l’Aquila reale, il Falco pellegrino, il Gufo reale, il Lanario e il Capovaccaio, ormai rari nel settore meridionale della penisola, per difficoltà di nidificazione e riproduzione. La
presenza umana, infatti può spaventare gli uccelli adulti che mancano di condurre le prede al nido, e anche i nidiacei più giovani che si vedono costretti a tentare l’involo dal nido prima del tempo, trovando la morte. Un Parco Nazionale trova la sua ragione d'esistere nella tutela del patrimonio di biodiversità presente al suo interno, pertanto scalate e arrampicate, in
quanto causa del fallimento della riproduzione di specie rupicole, necessitano
di una regolamentazione, anche in base al Decreto del 17 ottobre 2007 sui “Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)”.
Non è però pensabile che tali attività sportive possano venire vietate in tutto il Parco, pertanto la richiesta delle associazioni ambientaliste agli organi dell’Ente Parco è che alla nota del Direttore Travaglio faccia seguito un accordo tra enti e istituti interessati alle arrampicate ed escursioni, per
redigere un provvedimento contenente l’elenco dei siti in cui svolgere tali attività sportive senza recar danno alle specie selvatiche rare.

da "Il Messaggero - ed. Rieti" - 17 ottobre 2015





Ecco che cosa succede "spingendo" la caccia ai cinghiali





Soluzioni affrettate contro l"emergenza cinghiali" e disorganizzazione delle strutture sanitarie veterinarie, rischiano di mettere a repentaglio la salute pubblica.







Oltremanica



Il Governo inglese nomina i propri rappresentanti

nei Parchi Nazionali





Pubblicato dall'Ufficio di Gabinetto del Segretario di Stato per l'Ambiente e dal Centro per le nomine pubbliche, il bando per selezionare i rappresentanti del Governo di Sua Maestà in sette aree naturali protette. Trasparenza e competenza, sono inglesi!





L'area Broads in Inghilterra
I membri di nomina del Segretario di Stato per l'Ambiente hanno la responsabilità primaria di assicurare che l'Autorità di gestione del Parco Nazionale promuova le finalità statutarie del Parco. In tal modo, essi dovrebbero ricordare all'Autorità del Parco Nazionale i suoi più ampi doveri socio-economici tra cui quelli di cui al punto 2 (4) della legge del 1988 per le Broads Authority (Autorità di gestione delle zone umide e dei corsi d'acqua protetti n.d.t.). Il componente di nomina del Segretario di Stato deve assicurarsi che l'Autorità raggiunga gli obiettivi nel miglior modo possibile per le peculiarità del Parco Nazionale. I membri sono tenuti a conseguire una governance efficiente, efficace e responsabile dell'Autorità nel migliore interesse del Parco Nazionale.

Per saperne di più: http://ht.ly/TqSDT 

venerdì 16 ottobre 2015

da "L'espresso" - 16 ottobre 2015 - di Massimo Riva




Anche a sinistra buon senso verso la ricerca biogenetica





In un articolo sul settimanale del gruppo di De Benedetti, l'editorialista Massimo Riva si schiera a favore della ricerca scientifica in campo biotecnologico ed a favore degli OGM.





da "Il Foglio" - 16 ottobre 2015 - di Tatiana Boutourline





Iran - L'agonia del lago di Orumieh (Urmia) - #3






Uno dei più grandi laghi salati del pianeta agonizzante per la follia del regime degli ayatollah iraniani. Un ottimo e lungo articolo del quotidiano fondato da Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa.







da "Il Foglio" - 16 ottobre 2015 - di Tatiana Boutourline




Iran - L'agonia del lago di Orumieh (Urmia) - #2





Uno dei più grandi laghi salati del pianeta agonizzante per la follia del regime degli ayatollah iraniani. Un ottimo e lungo articolo del quotidiano fondato da Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa.







da "Il Foglio" - 16 ottobre 2015 - di Tatiana Boutourline




Iran - L'agonia del lago di Orumieh (Urmia) - #1





Uno dei più grandi laghi salati del pianeta agonizzante per la follia del regime degli ayatollah iraniani. Un ottimo e lungo articolo del quotidiano fondato da Giuliano Ferrara.






giovedì 15 ottobre 2015

Il "mitico" National Park Service compie 100 anni





La migliore idea americana a suon di rap






L'agenzia che governa il sistema dei Parchi Nazionali negli Stati Uniti promuove una campagna per il suo centenario con un bellissimo video musicale realizzato da un gruppo di giovani (YAP - Youth Ambassador Program)) in sette Parchi situati in quattro Stati dell'Unione. Enjoy! 






da "Gazzettino Friuli" - 15 ottobre 2015





Il lungo volo di Kronos





Un esemplare di grifone rilasciato in Friuli, nella Riserva Naturale Regionale del lago di Cornino, atterra in Corsica dopo che la radio satellitare installata sul dorso dell'animale aveva smesso di dare segnali.







da "La Nuova Sardegna" 15 ottobre 2015




Cinghiali: in Sardegna nuove regole sanitarie per il prelievo venatorio. Altre Regioni dormono (Puglia compresa).




L'unica forma di caccia consentita è quella della "compagnia di caccia". Ma il provvedimento non è del settore caccia ma di quello sanitario per l'eradicazione della peste suina. La questione, però, non è compresa in gran parte d'Italia.





da "'l'Astrolabio - Newsletter Amici della Terra" - 15 ottobre 2015 -

di Ettore Barbagallo e Carlo Foderà




Parliamo di paesaggio





Il 20 ottobre del 2000 venne aperta alla firma, a Firenze, la Convenzione Europea sul Paesaggio. L’Italia, che ospitava l’evento, fu ovviamente tra i diciotto paesi che già in quella prima giornata sottoscrissero il trattato. Ad essi se ne sono aggiunti successivamente altri, sino ad arrivare al numero attuale di quaranta sottoscrittori, sui quarantasette Stati membri del Consiglio d’Europa. Tra le assenza di rilievo, quelle della Russia, della Germania e dell’Austria.

La tempestività della firma del trattato da parte italiana non fu però prodromo di un seguito altrettanto rapido. Furono infatti necessari oltre cinque anni affinché la Convenzione venisse ratificata, con la legge 9 gennaio 2006, n. 14. Né, soprattutto, si può affermareche l’attuazione dei principi della Convenzione sia stata più pronta, dal momento che, a quindici anni da quella sottoscrizione, la strada da fare appare ancora lunga. D’altra parte, ben più lunga è l’attesa, che a tutt’oggi si protrae, dell’effettiva attuazione della Costituzione, che, all’articolo 9, pone il paesaggio tra i beni che la Repubblica è chiamata a tutelare, al pari del patrimonio storico e artistico della Nazione, una tutela che è stata sin qui interpretata, anche concettualmente, in modo quanto meno riduttivo.

Nei prossimi numeri, l’Astrolabio intende dedicare una più approfondita riflessione sui temi del paesaggio. Qui di seguito pubblichiamo una breve informativa, predisposta da Ettore Barbagallo, Presidente di Amici della Terra Sicilia, e da Carlo Foderà, Consigliere nazionale dell’Associazione, sulle iniziative che, proprio in occasione della ricorrenza della firma della Convenzione, gli Amici della Terra hanno avviato in Sicilia, una regione che, per quei temi, può sicuramente essere considerata emblematica. Altre iniziative, in fase di studio, faranno del paesaggio un tema di rilievo delle attività associative.


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Il 20 ottobre 2015 ricorre il 15° anniversario della sottoscrizione della Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 20 ottobre 2000). Per l’occasione, Amici della Terra ha avviato in Sicilia una serie di iniziative di studio, di approfondimento e di sensibilizzazione per mettere in risalto l’importanza fondamentale del paesaggio ai fini della tutela e della valorizzazione del grande patrimonio storico, ambientale, artistico, culturale e delle caratteristiche naturali e antropiche uniche che l’isola possiede.

Diverse sono le azioni sulle quali si sta lavorando: dalla promozione di una “Giornata del paesaggio siciliano” da istituire nella Regione, alla proposta di iscrivere la Regione Sicilia alla rete europea per l’attuazione della Convenzione Europea sul Paesaggio; all’organizzazione dell’incontro-convegno “Sicily Landscape Day”, all’istituzione del concorso fotografico “Paesaggi di Sicilia”,alla creazione di un osservatorio dei paesaggi siciliani.

Dell’istituzione della “Giornata del paesaggio siciliano” e dell’iscrizione alla rete europea per l’attuazione della Convenzione, gli autori di questa nota hanno avuto modo di discutere, il 23 settembre scorso, nel corso di un’audizione innanzi alla Commissione competente dell’Assemblea Regionale Siciliana. Entrambe le proposte hanno suscitato un notevole interesse da parte dei parlamentari regionali, tanto da far senz’altro sperare in un esito positivo, in particolare per quanto attiene all’istituzione della Giornata del paesaggio, più immediatamente legata a una decisione della Regione.

Le due proposte sono tra i principali temi dell’incontro-convegno “Sicily Landscape Day”. L’evento, organizzato dagli Amici della Terra Sicilia, si terrà tra qualche giorno, nella data simbolicamente scelta del 20 ottobre, in un antico monastero restaurato, all’interno del Parco dell’Etna, a Nicolosi. In quella occasione si svolgerà anche la fase finale del concorso fotografico “Paesaggi di Sicilia”, i cui vincitori, dopo una selezione online, verranno decretati da una giuria specializzata. Non sono peraltro previsti premi materiali, a parte la consegna di targhe ricordo, in quanto l’iniziativa è unicamente intesa ad incrementare la consapevolezza delle bellezze paesaggistiche siciliane.

Infine, la creazione di un osservatorio dei paesaggi di Sicilia, il primo della Regione, per il quale si sta cercando, con fondate speranze di successo, una collocazione adeguata ad Erice.

La funzione principale dell’Osservatorio sarà la promozione della conoscenza del paesaggio all'interno della società, creando una maggiore consapevolezza dell'importanza della sua tutela e della sua valorizzazione. Ciò avverrebbe attraverso attività di sensibilizzazione e partecipazione che coinvolgano enti, istituzioni pubbliche e private, al fine di promuovere ed elaborare forme di protezione, gestione e pianificazione del paesaggio. Concepito sia come organo di consulenza del Governo regionale e degli Enti Locali, sia come centro di eccellenza per lo studio e il monitoraggio dei paesaggi siciliani, l’Osservatorio si propone come punto d'incontro tra l’associazionismo, il mondo scientifico e i responsabili della pianificazione territoriale.

Queste, in sintesi, le iniziative già assunte. Ma si tratta dell’avvio di un percorso che non si esaurisce con esse e che dovrà invece proseguire, diventando un argomento centrale delle nostre attività.

Nell’impostazione della Convenzione europea, il paesaggio ha un significato ampio, che comprende aspetti e tematiche diverse, dalla gestione del territorio, alla tutela dell’ambiente, fino alla valorizzazione e conservazione della cultura e della storia locali. Ed è importante che questa accezione divenga patrimonio delle istituzioni, delle amministrazioni, delle comunità.

In Sicilia, tale esigenza assume un rilievo del tutto particolare, per i forti fattori di rischio presenti, per la necessità di recuperare e mitigare i danni già prodotti, per le elevatissime potenzialità di sviluppo sociale, economico, culturale, legate al paesaggio, che sicuramente caratterizzano l’isola.

domenica 11 ottobre 2015

Un altro esempio dal Regno Unito: 1 milione di sterline di risparmio per i cittadini nel corso degli ultimi 3 anni.



Specie protette: nuovo sistema di autorizzazioni

per risparmiare tempo e denaro




Ma il Parco Nazionale dell'Alta Murgia è arrivato prima nel suo Piano per il Parco (art. 8, comma 5. delle Norme Tecniche di Attuazione).




La gamma di misure innovative, progettate per ridurre il volume delle richieste di autorizzazione ed i relativi costi associati, rappresenta un passo significativo da parte di Natural England (l'agenzia governativa inglese per la protezione della natura) verso il suo obiettivo di ridurre la burocrazia e per la creazione di un'organizzazione più efficiente. Risparmi sono stati fatti principalmente attraverso l'introduzione di un sistema di autorizzazioni(*) per le opere che possono avere incidenze negative su pipistrelli, tritoni crestati e ghiri - che ha ridotto il numero di richieste di autorizzazioni e conseguenti
Ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum)
dinieghi e riproposizioni, ed una nuova 'autorizzazione specifica' - che ha ridotto le domande di autorizzazione e di mitigazione per lavori a basso impatto che interessano le popolazioni di pipistrelli. La riduzione della burocrazia si estende oltre il risparmio di denaro per i piccoli imprenditori. Le autorizzazioni per organizzazioni sono state da poco attivate - eliminando la necessità per le grandi imprese di chiedere autorizzazioni individuali che spesso possono causare costosi ritardi nei progetti a breve termine -.
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(*) Le "autorizzazioni con allegati" permettono a Natural England di contattare i richiedenti dell'autorizzazione dopo la presentazione della richiesta e di consigliarli in merito ad eventuali problemi per la sua attuazione, che potrebbero rendere la stessa non concedibile. Una volta raggiunto un accordo, Natural England fornirà l'autorizzazione con le modifiche concordate che sono descritte in un apposito allegato sottoscritto dalle parti.

da "Nature Plants" - 05 ottobre 2015 - Jeremy J. MidgleyJoseph D. M. White, Steven D. Johnson & Gary N. Bronner




Cosa bisogna fare per sopravvivere!

I semi che si fingono escrementi.




Interessante articolo della rivista scientifica sulla strategia messa in atto dalla pianta sudafricana Ceratocaryum argenteum con gli scarabei stercorari.




I grandi semi marroni, rotondi e intensamente profumati di Ceratocaryum argenteum (Restionaceae) attirano molti insetti collegati allo sterco degli erbivori. Questi semi attirano scarabei stercorari che li rotolare e li seppelliscono. Poiché i semi sono duri e non offrono alcuna "ricompensa" agli scarabei stercorari, possiamo dire che questo è un notevole esempio di inganno per favorire la dispersione dei semi delle piante.


Mimetismo, inganno e sfruttamento sensoriale degli animali da parte delle piante sono controversi, in particolare per la dispersione dei semi. Alcune specie di piante producono semi colorati ma duri e poco graditi dagli uccelli frugivori. La prova che questo rappresenti mimetismo visivo o sfruttamento sensoriale visivo è debole: c'è una generale assenza di coincidenza riguardante specie di piante con frutti carnosi similarmente colorati, i semi sono spesso tossici e quindi il colore è potenzialmente aposematico (colorazione di avvertimento) e la gran parte degli uccelli ignora i semi determinandone una dispersione molto bassa. L'inganno chimico, nella dispersione del seme, sembra essere altrettanto rara, essendo ipotizzata solo in due specie mirmecocore (la cui dispersione del seme avviene attraverso le formiche). Le piante che producono semi con bassi livelli di attrattori chimici (acido oleico) non ingannano efficacemente le formiche e tali semi hanno una dispersione molto bassa.
Nella zona Potberg della Riserva Naturale De Hoop  (DHNR), in Sud Africa,è stata studiata la dispersione di Ceratocaryum argenteum Nees ex Kunth, una specie endemica di piante Restionaceae, presente in forma di arbusti in aree soggette ad incendi su sabbie profonde. I semi di questa specie sono insoliti; i suoi gusci sono i più grandi della famiglia (1 cm di lunghezza), non hanno elaiosoma per la loro dispersione da parte delle formiche ed invece di avere una superficie liscia ed tegumento nero tipico dei grandi semi della loro famiglia, hanno un tegumento esterno ruvido, tuberculato e marrone. All'olfatto umano, lo strato tuberculato ha un odore pungente simile a quello di feci di erbivori. Alcune specie di piante della vegetazione arbustiva ("fynbos" - Patrimonio dell'Umanità UNESCO) del Capo, hanno semi con grandi gusci che sono sepolti da piccoli mammiferi per conservarli.

Per saperne di più: http://www.nature.com/articles/nplants2015141#f1 

da "la Repubblica - ed. Bologna" - 11 ottobre 2015




Ecco dove vogliono arrivare i cacciatori che chiedono il selecontrollo del cinghiale




Il Presidente del Parco Naturale Regionale dei Gessi bolognesi, in Emilia-Romagna, minacciato di morte per aver limitato il numero di selecontrollori nell'area protetta.




domenica 4 ottobre 2015

da Commissione Europea (http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-5746_it.htm) - 02 ottobre 2015

 

 

Protezione della natura in Europa: fissare obiettivi più ambiziosi per arrestare la perdita di biodiversità entro il 2020

 


 Ma il check-up delle Direttive "Habitat" e "Uccelli" fa temere il peggio

 



Dalla revisione intermedia della strategia dell’UE sulla biodiversità si evince che sono stati registrati progressi in molti settori, ma emerge anche la necessità di un maggiore impegno da parte degli Stati membri per arrestare la perdita di biodiversità entro il 2020.

Scopo della revisione intermedia della strategia dell’UE sulla biodiversità è valutare se l’UE è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2020. I risultati dimostrano che sono stati compiuti progressi in molti settori, ma evidenziano la necessità di sforzi più intensi per tener fede agli impegni assunti dagli Stati membri in materia di attuazione. La capacità della natura di pulire l'aria e l'acqua, impollinare le colture e limitare l’impatto di catastrofi quali le inondazioni è compromessa, con potenziali costi elevati e imprevisti per la società e per la nostra economia. Un sondaggio d’opinione a livello europeo, anch’esso pubblicato oggi, conferma che la maggioranza dei cittadini europei è preoccupata per le conseguenze della perdita di biodiversità ed è consapevole delle ripercussioni negative che questo fenomeno può avere sulla salute e il benessere degli esseri umani, e in ultima analisi anche sul nostro sviluppo economico a lungo termine.

L’UE ha adottato una strategia per arrestare la perdita di biodiversità entro il 2020. Dalla valutazione effettuata a metà percorso emerge che occorre fare molto di più sul terreno per tradurre le politiche dell’UE in azioni concrete. In primo luogo gli Stati membri devono attuare meglio la legislazione UE in materia di protezione della natura. Più dei tre quarti dei principali habitat naturali nell’UE sono attualmente in condizioni insoddisfacenti, e molte specie sono a rischio di estinzione. L'effettivo arresto della perdita di biodiversità dipende anche da quanto efficacemente le questioni legate alla biodiversità sono integrate nelle politiche in materia di agricoltura, silvicoltura, pesca, sviluppo regionale e commercio. La riforma della politica agricola comune offre la possibilità di una maggiore integrazione delle questioni connesse alla biodiversità, ma la misura in cui gli Stati membri attueranno i provvedimenti a livello nazionale sarà decisiva per garantirne il successo. Infine occorre riconoscere e apprezzare per il suo giusto valore il nostro capitale naturale, non solo entro i limiti delle aree protette ma in generale nel nostro territorio e nei nostri mari. La Commissione sta attualmente effettuando un controllo dell’adeguatezza (check-up) delle direttive Uccelli e Habitat, al fine di verificare se stiano raggiungendo i loro importanti obiettivi nel modo più efficiente.

Il Commissario responsabile per l'Ambiente, gli affari marittimi e la pesca, Karmenu Vella, ha dichiarato: Possiamo trarre numerosi insegnamenti da questa relazione - abbiamo compiuto progressi e ci sono esempi validi da seguire, ma resta tanto da fare per colmare le lacune e raggiungere gli obiettivi in materia di biodiversità all'orizzonte 2020. Non c’è motivo di autocompiacersi - perdere biodiversità significa perdere il nostro sistema di sostegno alla vita. Non possiamo permettercelo, né può permetterselo la nostra economia."

Il ripristino degli habitat naturali e la costruzione di infrastrutture verdi continuano a rappresentare delle sfide per l’Europa. La strategia dell’UE per le infrastrutture verdi — una volta attuata — dovrebbe comportare vari benefici per una serie di settori, compresa l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca. Le specie esotiche invasive sono una delle minacce alla biodiversità che registra la crescita più rapida in Europa, causando danni significativi all’agricoltura, alla silvicoltura e alla pesca, con un costo nell'UE pari ad almeno 12 miliardi di EUR l’anno. È entrato in vigore un nuovo regolamento dell’UE per combattere la diffusione delle specie esotiche invasive e si sta lavorando per definire entro l’inizio del 2016 un elenco delle specie invasive di rilevanza unionale.

Su scala mondiale, l’UE contribuisce in ampia misura ad arrestare la perdita di biodiversità. Insieme ai suoi Stati membri, l’UE è il principale donatore finanziario per la conservazione della biodiversità. L’UE ha adottato i primi provvedimenti per ridurre le cause indirette della perdita di biodiversità, in particolare in materia di commercio della fauna selvatica e della pesca illegale, e per integrare la questione della biodiversità nei suoi accordi commerciali. La nuova agenda generale 2030 per lo sviluppo sostenibile ribadisce la necessità di mantenere gli impegni assunti a livello mondiale in questo settore.

La pubblicazione della revisione intermedia coincide con quella di un sondaggio Eurobarometro che evidenzia le preoccupazioni espresse dagli europei rispetto alle tendenze attuali in materia di biodiversità. Almeno i tre quarti dei cittadini europei ritengono che sussistano gravi minacce per gli animali, le piante e gli ecosistemi a livello nazionale, europeo e mondiale, e oltre la metà ritiene che risentirà personalmente della perdita di biodiversità.

Contesto
La strategia dell’UE sulla biodiversità fino al 2020 mira a porre fine alla perdita di biodiversità e al degrado dei servizi ecosistemici, ripristinandoli il più possibile entro il 2020, e a contribuire ad evitare la perdita di biodiversità su scala mondiale. Essa stabilisce obiettivi in sei settori principali: piena attuazione della normativa dell'UE in materia di protezione della natura; preservazione e ripristino degli ecosistemi e dei relativi servizi; rafforzamento della sostenibilità dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca; controlli più rigorosi sulle specie esotiche invasive e un contributo più significativo dell’UE alla prevenzione della perdita di biodiversità. La strategia dell’UE sottolinea la necessità di tenere pienamente conto dei benefici economici e sociali garantiti dalla natura e di integrare tali vantaggi nei sistemi di comunicazione e contabili. La strategia mira anche a tener fede agli impegni mondiali in materia di biodiversità nel quadro della convenzione sulla diversità biologica e contribuisce alla nuova agenda di sviluppo sostenibile a livello mondiale entro il 2030.

I camosci del Parco Nazionale del Gran Paradiso in un documentario

 



Come gestire e conservare il Re delle Alpi




Documentario realizzato nell'ambito del progetto Interreg GREAT — Grandi Erbivori negli ambienti Alpini in Trasformazione, Programma di Cooperazione Transfrontaliera Italia-Svizzera 2007-2013, finanziato con i fondi FESR dell'Unione Europea 




da "The Economist" - 30 settembre 2015




Come i verdi e gli scettici leggono la storia biblica della Genesi




Esegesi delle sacre scritture e protezione della natura: il cristianesimo di interroga dopo l'Enciclica di Papa Francesco.




James Inhofe, presidente della Commissione Ambiente del Senato americano, presta molta attenzione al libro della Genesi. Ad esempio, egli insiste sul fatto che tutta la West Bank appartiene di diritto ad Israele, piuttosto che a palestinesi, musulmani o cristiani; ed ha radicata la credenza nella promessa fatta ad Hebron da Dio ad Abramo: "... tutto il paese che tu vedi, a te lo darò e alla tua discendenza per sempre ... " (è stata questa la ragione, ha pensato Inhofe, per cui l'America ha esitato nella convinzione che gli attacchi dell'11 settembre siano stati l'apertura di "una porta spirituale"). La sua intensa ostilità all'idea che il riscaldamento globale sia di origine antropica, che lo ha spinto a portare una palla di neve sul pavimento del Senato, ha anche una base biblica. A riprova che l'uomo semplicemente non può modificare l'interazione delle stagioni, cita quanto detto da Dio a Noè nella Genesi, 8:22.: "Finché la terra durerà, sementi e raccolta, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte, non cesseranno mai".
Albero della vita - Cattedrale di Otranto (LE) - Particolare
Ma vi sono, naturalmente, molte persone illustri che leggono la Genesi in modo opposto. La scorsa settimana, in occasione del discorso del papa alle Nazioni Unite, sono stato invitato, insieme a un paio di altri giornalisti, a partecipare ad un colloquio telefonico con il cardinale Peter Turkson, che è Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che ha avuto un notevole peso nell'Enciclica ambientale del Papa, pubblicata nel mese di giugno scorso. Uno dei partecipanti ha chiesto al cardinale cosa pensasse dell'interpretazione del senatore Inhofe della Genesi e il prelato del Ghana ha contro-citato un altro versetto (2,15), che descrive i compiti assegnati ad Adamo. Nella versione della Bibbia di Re Giacomo, recita: "L’Eterno Iddio prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino d’Eden perché lo abbellisse e lo custodisse". Altre traduzioni dicono che ad Adamo sia stato detto di "coltivare e custodire" la terra o "la fattoria" e di "preservarlo". Al cardinale piace anche citare un altro versetto (4, 9) della Genesi, in cui si utilizza lo stesso verbo ebraico. Dopo aver ucciso il fratello Abele, Caino chiede senza vergona al Signore: "Sono forse il guardiano di mio fratello?". Una parte della punizione di Caino per quella follia omicida, aggravando la sanzione già inflitta ad Adamo, era che per lui la terra sarebbe diventata ancora più difficile da coltivare. La citazione di questi due versi, secondo il cardinale, implica che le persone oggi devono "custodire" ("to keep" n.d.t.) qualcuno e qualcosa molto meglio di come fece Caino, e far meglio di Adamo nella "custodia" della terra; e questi due mandati sono in qualche modo collegati.
Il cardinale non è il solo a fare quel collegamento. Il rabbino David Rosen della American Jewish Committee, infaticabile partecipante agi incontri interreligiosi, ha usato gli stessi versi quando per parlare dell'atteggiamento della sua fede verso l'ambiente.
Ma un cinico potrebbe senza dubbio ribattere che è possibile selezionare versi isolati da un testo complesso e spesso maltradotto, e sfruttarli a sostegno delle argomentazioni. Il seguente esempio parallelo è un po' esagerato ma può servire. occorre tornare ai giorni in cui la Gran Bretagna ha avuto una piccola moneta del valore di sei vecchi centesimi, nota in gergo come "conciatore" ("tanner" n.d.t.), e circolava una battuta clericale: "il banchiere deve essere biblicamente benedetto perché l'apostolo Pietro ha alloggiato da Simone il conciatore ("tanner" n.d.t.) ...".

Testo completo (in inglese): http://www.economist.com/blogs/erasmus/2015/09/genesis-and-environment?fsrc=scn/tw/te/bl/ed/genesisandtheenvironment

 da "LINKIESTA" - 04 ottobre 2015 - di Giulio D'Antona




Epidemie, pandemie e informazione malata.




Interessante riflessione, apparsa sul giornale indipendente on-line "Linkiesta", sul rapporto tra minacce virali per il mondo umano e realtà scientifica. Di mezzo, il ruolo dei mezzi di informazione, sempre più strumenti di distrazione di massa.





La psittacosi, anche conosciuta come ornitosi, è una forma di polmonite batterica diffusa da Chlamydophila psittaci. Colpisce i pappagalli, ma anche altre specie di uccelli da compagnia, le pecore e in qualche caso cani e gatti. Può essere trasmessa all'uomo, per un po' di tempo è stata definita “peste da appartamento” ed è stato molto difficile isolarne cause e sintomi. Se non trattata, uccide il venti per cento degli infettati. L'ebola ne uccide tra il cinquanta e il novanta, ma non viene trasmessa da animali che popolano le nostre stanze e dormono sui nostri tappeti e divani.

Ci si potrebbe fermare a questo punto, come si fa in questo casi, e osservare la paranoia diffondersi in modo non tanto differente dal diffondersi dei batteri e dei virus che la generano. Vincere le debolezze organiche, opporre resistenza agli antibiotici e trasformarsi nella prima, vera, pandemia. Ignorando l'unica nozione fondamentale: del problema di Chlamydiophila non ci si preoccupa più da quasi novant'anni.

Nel dicembre del 1929, in tempi di piena crisi, un americano di nome Simon Martin ha deciso di comprare un pappagallo per sua moglie. Volendole farle una sorpresa, lo ha affidato a sua figlia Edith e al marito Lee Kalmey a Baltimora, perché lo tenessero con loro fino a Natale. Che il pappagallo non fosse in perfetta forma è stato chiaro fin da subito: aveva gli occhi gonfi, le penne arruffate, era narcolettico. Entro qualche settimana, poco dopo essere stato portato ad Annapolis a casa Martin, Lee, Edith, Simon e sua moglie Lilian si trovavano per le mani un pappagallo morto. Quando i Kalmey e Lilian Martin, verso i primi giorni del 1930, hanno cominciato a manifestare i sintomi della malattia, a metà strada tra la febbre tifoide e la polmonite, il collegamento con il volatile è venuto quasi naturale.

Il 6 gennaio, un medico di larghe vedute che aveva appena letto della “febbre dei pappagalli” su un giornale argentino e che era stato chiamato a visitare la famiglia ha tracciato il profilo della psittacosi, che sembrava si stesse diffondendo dal Sudamerica e in qualche remota regione europea (non meglio definita). La sua reazione immediata, non avendo idea di cosa fare per trattare il caso dei Martin, è stata quella di scrivere al Dipartimento della Sanità Pubblica a Washington. Il suo telegramma diceva: «Prego, mettere a disposizione siero trattamento febbre pappagalli quanto prima». Non esisteva alcun siero, non esisteva alcun vaccino e nessuno sapeva che in effetti non ce n'era bisogno.

La diffusione della paranoia virale è un piano inclinato su cui le voci rotolano libere, inglobando altre voci, supposizioni, teorie e sentiti dire come una palla di neve che si ingrossa e prende velocità scendendo lungo il pendio. Non c'è altro modo per arginarle se non con un ostacolo secco sul quale lasciarle infrangere. Più sono veloci, più lo schianto sarà spettacolare.

Nel caso della psittacosi del 1930, la spinta iniziale l'ha data il Washington Post già nella notte del 8 gennaio. La malattia dei pappagalli lascia gli esperti senza parole, titolava. Di lì le radio hanno cominciato a scatenarsi, la notizia ha cominciato a essere ripresa dai giornali locali e gli episodi di paranoia hanno cominciato a diffondersi senza controllo. Un ammiraglio della marina ha ordinato a tutti i marinai che possedevano un pappagallo da compagnia di liberarsene buttandolo in mare con tutta la gabbia. Il sindaco di una cittadina del Midwest ha fatto emettere un'ordinanza che imponeva di “Tirare il collo a tutti i volatili domestici”. La gente ha cominciato ad abbandonare i cadaveri dei propri animali per le strade, quando non li lasciava liberi di volare e di incontrare la morte per altra mano.

Più la storia cresceva più diventava familiare, più diventava familiare più la sua minaccia reale si affievoliva e la caccia al pappagallo diventava una consuetudine. Mancava solo una cosa: le vittime umane.

Nel caso della febbre dei pappagalli la paranoia non è durata più di qualche settimana, attraversando un Paese messo in ginocchio da altri fattori che sembrava non aver bisogno di perdersi troppo nella paura di un morbo batterico, ma che lo ha accolto come una boccata di aria fresca. Solo una decina di anni prima, all'indomani dei progressi medici della fine dell'Ottocento e mentre cinquanta milioni di persone in tutto il mondo morivano di influenza, la gente aveva imparato a incolpare i batteri — non più dio, il diavolo o le streghe — per le catastrofi. Nella metà degli anni venti erano stati pubblicati numerosi saggi e trattati ed era stata coniata la definizione di “Cacciatore di microbi”. Il caso di Annapolis era diventato lo scenario ideale per mettere alla prova l'efficienza della nuova scienza, sotto gli occhi di una stampa già sovra-stimolata. Alla morte della moglie di Lilian Martin, la notizia ha cominciato a rimbalzare in tutto il Paese: Los Angeles Times, New York Post, Boston Globe.

Sebbene non ce ne fosse né la prova né il bisogno, gli articoli si ricalcavano sull'alta viralità del morbo e su quanto fosse letale per gli esseri umani. Le voci di nuovi casi rimbalzavano da una costa all'altra, senza che nessuno si prendesse mai la briga di verificarle. In capo a meno di un mese era appurato che la psittacosi potesse essere trattata con un normale ciclo di antibiotici e che fosse piuttosto rara anche tra i poveri pappagalli, che fino ad allora erano stati gli unici a pagarne le conseguenze.

Per ogni paranoico che prende la minaccia globale alla lettera, in venti cercano di approfondire la notizia per smascherarne l'inattendibilità o per sincerarsi che tutto vada bene.

Col passare degli anni e l'universalizzarsi delle conoscenze, le epidemie, forse perché sempre più rare, sono diventate argomento da tabloid più che casi di studio. Paradossalmente, il moltiplicarsi delle fonti arbitrarie e la maggiore disponibilità di informazioni, hanno immunizzato il pubblico in un fenomeno non dissimile dal metodo delle vaccinazioni. La diffusione di notizie ingigantite a pochi giorni dai primi casi non fa che irrobustire la coscienza dei lettori, rendendoli più scettici nei tempi a venire e quindi più preparati alla “bufala” — termine orrendo ma in questo caso utile. Per ogni paranoico che prende la minaccia globale alla lettera, in dieci sollevano le spalle e continuano a vivere la propria vita e in venti cercano di approfondire la notizia per smascherarne l'inattendibilità o per sincerarsi che tutto vada bene. Risultato: il fenomeno è meno duraturo e il diffondersi dell'ansia è meno probabile.

In grande, la recente proliferazione di informazioni riguardo il virus ebola, inizialmente incontrollata e allarmante, ha fatto sì che nel giro di poco tempo i lettori più informati cominciassero a pretendere chiarezza e che quindi anche i giornali si responsabilizzassero e arginassero il fenomeno, invece di alimentarlo. Così, la geografia del morbo ha mantenuto i propri confini e l'improbabilità di una pandemia si è fatta più evidente, grazie a una forma di scetticismo costruttivo in risposta all'allarmismo proliferante degli ultimi trent'anni.

In piccolo, ogni anno a fine settembre le fonti di informazione locali di New York aprono un osservatorio sull'uragano più vicino e lo seguono salire dai Caraibi lungo il golfo del Messico per scongiurare il pericolo che si abbatta sulla costa Est degli Stati Uniti. Anno dopo anno molti newyorchesi fanno provviste, in vista di un nuovo Sandy e rimangono incollati a Internet per essere preparati al peggio, che non sta tanto nelle piogge torrenziali, quanto nel reagire scompostamente a una minaccia reale.

Soltanto due uragani su dieci hanno effettivamente colpito la città duramente negli ultimi anni: Irene e Sandy. Lo scetticismo costruttivo mantiene le persone informate e argina il problema alla radice, molto più efficacemente della diffusione di un allarme spropositato, che finisce per procurare più danni che benefici. Ai tempi delle colonie, il terrore delle carestie ha fatto più morti che le carestie stesse, tra presunte streghe e nativi innocenti.

Per tornare alla febbre dei pappagalli: l'inconsistenza delle notizie allarmiste ha ben presto dato i suoi frutti. Non ha slavato la vita a Lilian e Edith Martin ma ha fatto sì che il Dipartimento della Sanità si desse da fare per risolvere un problema che nessuno aveva intenzione di osservare più da vicino, perseguendo la strada più semplice. Ogni volta che una nuova minaccia virale si affaccerà sul mondo degli uomini, la stampa andrà in subbuglio sempre prima e diffonderà il sospetto sempre più velocemente, infrangendosi sulle evidenze. Allora rimarrà soltanto la notizia, i fatti e l'attesa per la soluzione.