domenica 27 settembre 2015

dal blog di Robert Fuller (http://robertefuller.blogspot.co.uk/) - 25 settembre 2015




La volpe nera




Il racconto di uno dei più grandi artisti naturalistici contemporanei




"Ho sempre avuto un orecchio attento alle notizie di avvistamenti di animali selvatici interessanti. Così, quando ho ricevuto una telefonata da un cliente dicendo che aveva visto una volpe nera nei pressi di casa sua, le mie orecchie si sono rizzate. Si pensa vi possa essere solo una manciata di tali creature nel paese (Inghilterra n.d.t.). Anche se di colore nero, sono tecnicamente note come "volpi argentate" in quanto la pelliccia è mantata con il bianco. La colorazione è tutta una questione di genetica. Storicamente, le volpi argentate sono state tra le più apprezzate per la loro pelliccia. Il loro manto argento-nero è stato indossato dai nobili in Russia, Europa occidentale ed in Cina e le loro pellicce sono state considerate di qualità superiore anche a quelle di martora, di castoro e di lontra. Ma, mentre sono praticamente sconosciute in Gran Bretagna, ho letto che le volpi argentate compongono l'8% della popolazione di volpe rossa canadese.
Rimasi senza fiato al telefono quando il mio cliente mi ha detto di aver visto dal suo appartamento un maschio di volpe color nero alle prime ore del mattino sul lato opposto di una ripida valle. Era così entusiasta del suo avvistamento che era difficile non farsi prendere dai suoi racconti di "Black Fox", questo il nome che gli ha dato. Poco dopo la nostra conversazione telefonica, il cliente è venuto nella mia galleria in Thixendale per mostrarmi la sua ripresa video. Era un bel personaggio. Arrivò con indosso un abito di tweed verde, cravatta e cappello a cilindro. (...) Il suo vero nome era Robert Burns, ma si presentò come 'Black Fox Bob', facendomi sorridere. Non vedevo l'ora di vedere il suo filmato e così siamo andati a casa e collegato la sua macchina fotografica al mio televisore widescreen. Appena il video partì, non riuscivo a credere a quello che stavo vedendo. Mi aspettavo che la volpe fosse stata ripresa al buio, ma questa volpe era nera come un labrador con appena un accenno di riflessi argentati lungo il corpo. Aveva una bella punta bianca alla coda, proprio come una volpe rossa. Era incredibile come la volpe argentata sembrasse rilassata, dato che c'era una strada trafficata a meno di 20 metri più in alto la riva scoscesa. Questo comportamento è molto diverso da quello delle volpi di campagna che vedo qui in Thixendale che, invece, sono molto prudenti." (...)

La "provocazione" di Maurizio Bolognetti (Radicali Lucani)


"Tutti No-Triv? E allora, più trivelle per tutti"




Il conformismo anti-perforazioni petrolifere, soprattutto in Basilicata, stimola l'esponente radicale a riflessioni di cui tener conto.





Maurizio Bolognetti
"Sapete che c’è? Visto che Pittella e Lacorazza, folgorati sulla via di Damasco, hanno subito una trasfigurazione e si sono collocati sul fronte no-triv, per garantire un minimo di contraddittorio fonderò l’associazione “Più trivelle per tutti”, collegata a una sorta di telefono azzurro del petroliere. Con buona pace dei novelli referendari non riesco ad allontanare la sgradevole sensazione di un gigantesco gioco delle parti, messo in piedi per guadagnare tempo e ammutolire le voci di coloro che hanno provato a far riflettere su scelte miopi.

Un minuto dopo l’approvazione del cosiddetto Memoradum, avvertii che stavamo per incamminarci sulla strada che ci ha portato allo Sblocca Italia, attraverso i Decreti Liberalizzazioni e Sviluppo. Tutto inutile, nessun ascolto da parte dei referendari di oggi, che di volta in volta hanno inneggiato al Memorandum, si son vantati di aver vinto partite immaginarie, hanno addirittura anticipato i contenuti dello Sblocca Italia. Intanto, mentre Potenza discute e getta fumo negli occhi, Viggiano e la Val d’Agri, Corleto e l’Alta Valle del Sauro continuano a “bruciare” e si va avanti con la politica di un colpo al cerchio e uno alla botte.

W la revolucion delle mezze maniche e delle mezze calzette, delle V e VI linee, dei pozzi di reiniezione e dell’occupazione manu militari di una regione a sovranità limitata.

Sì, ho deciso! Si parte qualunquamente con l’associazione “Più trivelle per tutti” e contestualmente con il lancio di alcune proposte. Diciamo una sorta di decalogo:

- al posto del culto della Madonna di Viggiano, patrona della Basilicata, si istituisca con legge regionale il culto dei Santissimi Marcello e Piero Referendari, con annesso pellegrinaggio obbligatorio al Centro Olio Val d’Agri.

- la Regione Basilicata chieda l’iscrizione honoris causa ad Assomineraria;

- la Regione Basilicata cambi il suo stemma, sostituendo i quattro fiumi con i più appropriati “Falce, Barile e Trivella”;

- si costruisca un muro perimetrale attorno al Consiglio regionale e lo si faccia dipingere dal Presidente di Confindustria Michele Somma;

- al posto della statua di Verrastro, che probabilmente non ne può più di veder passare

tutti i giorni trasformisti e voltagabbana, si collochi il mezzobusto di Eugenio Cefis;

- sui principali monti lucani si facciano scolpire i profili di Pittella, Lacorazza, Romaniello, De Scalzi e Tabarelli in versione “barbudos”;

- si istituisca il premio regionale “Tecnoparco” e lo si assegni alla personalità lucana che nell’anno solare si è maggiormente distinta nell’assecondare gli interessi delle compagnie petrolifere;

- la Regione Basilicata chieda di essere annessa agli Emirati Arabi Uniti;

- nelle scuole lucane si introduca l’insegnamento della “Teologia della trivellazione”;

- si garantisca una fornitura a vita di cozze del Mar Piccolo al governatore pugliese Emiliano;

Per iscrizioni e info www.hastalatrivellasiempre.org

Maurizio Bolognetti, Segretario Radicali Lucani"

da "Nature News&Comment" - 25 settembre 2015 - Emma Brown



Il trucco del pipistrello bevitore




Puntando una telecamera ad alta velocità su una provetta piena di nettare, i ricercatori hanno osservato i pipistrelli utilizzando uno stratagemma di lingua di pompaggio che non è mai stato visto prima nei mammiferi.




Lonchophylla robusta (Pipistrello nettare d'arancia)
Uno studio ripreso da Nature, dimostra come i pipistrelli della specie lonchophylla robusta bevono il 150 % del proprio peso corporeo ogni notte, ma la lingua sembra a malapena muoversi mentre prelevano il liquido da un fiore.
La maggior parte dei vertebrati - tra cui alcuni altri pipistrelli - bevono tirando su il liquido con la lingua. Ma la punta della lingua del pipistrello lonchophylla robusta rimane sommersa sotto la superficie del nettare mentre il corpo si libra sopra un fiore. E mentre gli altri pipistrelli hanno lingue con papille simili a capelli (con minuscole bolle), la lingua del nostro lonchophylla robusta, no.
Ha, invece, due scanalature aperte che corrono lungo i lati sinistro e destro, spiega l'ecologo Marco Tschapka dell'Università di Ulm, in Germania, co-autore dello studio pubblicato il 25 settembre su Scienze Advances.
Piccoli muscoli-pompa spingono il nettare nelle due scanalature o "canali" e quindi in bocca. I ricercatori sospettano che un qualche tipo di attività capillare impedisca al nettare di fuoriuscire dai canali mentre avviene il pompaggio.

Per saperne di più e vedere il bello e simpatico video: http://www.nature.com/news/bat-drinks-using-tongue-pump-trick-1.18434?WT.mc_id=TWT_NatureNews 

giovedì 24 settembre 2015


No-triv Basilicata



Il Consiglio di Stato deciderà sulle richieste di prospezione petrolifera della compagnia AleAnna Resources Ltd.




In Puglia, nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia, era già andata male alla società statunitense





mercoledì 23 settembre 2015

Scoperte da ISPRA

 

Popolazioni di Datteri bianchi a Scala dei Turchi (Sicilia)




E' la prima segnalazione di Pholas dactylus in Sicilia

Azioni sul documento
compreso tra Giugno e Luglio 2015, l’ISPRA (Istituto Superiore di Protezione e Ricerca Ambientale), nell’ambito del progetto Osservatorio Regionale della Biodiversità della Regione Siciliana ha condotto una campagna di indagine lungo la fascia costiera della provincia di Agrigento (nel tratto di mare compreso fra la foce del fiume Platani e Scala dei Turchi), mirata alla istituzione di nuovi SIC marini.




Nel periodo compreso tra Giugno e Luglio 2015, l’ISPRA (Istituto Superiore di Protezione e Ricerca Ambientale), nell’ambito del progetto Osservatorio Regionale della Biodiversità della Regione Siciliana ha condotto una campagna di indagine lungo la fascia costiera della provincia di Agrigento (nel tratto di mare compreso fra la foce del fiume Platani e Scala dei Turchi), mirata alla istituzione di nuovi SIC marini.
L’esplorazione è stata condotta sia attraverso indagini visive “visual census”, con operatori subacquei, sia con l’ausilio di un ROV (Remotely Operated Vehicle) gestibile da piccole imbarcazioni. Le attività hanno portato all’individuazione di importanti comunità animali e vegetali inserite nelle Normative Nazionali, Direttive Europee e Convenzioni Internazionali. Il territorio in cui ricade l'area di studio è caratterizzato, dal punto di vista geologico, dalla presenza di un particolare tipo di rocce sedimentarie, denominate Trubi.

Per la prima volta sono stati censiti i popolamenti del mollusco bivalve Pholas dactylus (dattero bianco), che lungo l’area di studio è presente con migliaia di individui.

Ad oggi tale risultato è la prima segnalazione di P. dactylus in Sicilia, ed è associato alla particolare tipologia di substrato. La specie svolge un’azione meccanica di perforazione con le sue valve, pertanto il suo habitat è ristretto solo a substrati rocciosi teneri, come quelli offerti dalle marne calcaree distribuite lungo la costa agrigentina.

La specie è rigorosamente protetta dal D.M 16 ottobre 1998 che ne vieta la pesca, è inclusa inoltre nell’allegato II della Convenzione di Berna e nell’allegato II del Protocollo relativo alle Aree Specialmente Protette e della Biodiversità del Mediterraneo (Convenzione di Barcellona).

Per l’importanza ambientale di questo raro habitat e per il suo ruolo nella biodiversità marina del Mediterraneo, dovrebbero essere poste in essere adeguate misure di conservazione e tutela.

I risultati di questa indagine forniscono un importante contributo alla conoscenza della biodiversità marina siciliana di ambienti costieri poco profondi.

da "www.pikaia.eu - Il portale dell'evoluzione" - 31 agosto 2015 - di Mauro Mandrioli




Evoluti per diffidare: la percezione degli OGM al vaglio del senso comune




Perché diffidiamo degli OGM? Un gruppo di biologi molecolari e filosofi cognitivi ha cercato di dare una risposta





Nel libro Nati per credere Vittorio Girotto, Telmo Pievani e Giorgio Vallortigara hanno mostrato che il modo in cui l’evoluzione ha plasmato il nostro cervello influenza la nostra capacità di fornire un’interpretazione di quello che ci accade. Dalla presenza di questi meccanismi deriva una nostra naturale tendenza a trovare più ragionevoli alcune teorie rispetto ad altre, favorendo inconsapevolmente quelle che meglio si conformano al modo in cui il nostro cervello cerca di spiegare il mondo che ci circonda.

Se la presenza di questi automatismi influenza in modo negativo la nostra percezione della teoria dell’evoluzione, vi sono altri ambiti scientifici ugualmente influenzati dal modo in cui il nostro cervello funziona? Una riposta a questa domanda è stata recentemente pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Trends in Plant Science da un gruppo di ricerca multidisciplinare composto da filosofi cognitivi e biologi molecolari.Se la presenza di questi automatismi influenza in modo negativo la nostra percezione della teoria dell’evoluzione, vi sono altri ambiti scientifici ugualmente influenzati dal modo in cui il nostro cervello funziona?

La domanda da cui il gruppo, coordinato dal filosofo Stefaan Blancke, è partito è legata alla avversione agli organismi geneticamente manipolati (OGM): se gli OGM sono potenzialmente utili, perché vengono ritenuti più credibili le posizioni anti-OGM rispetto a quelle a favore? Uno degli aspetti che ha incuriosito gli Autori è che l’opposizione agli OGM è presente in nazioni che poco hanno in comune in termini culturali a suggerire che gli OGM possano andare a scontrarsi con qualche “meccanismo” che lavora molto in profondità nel nostro cervello.

Secondo quanto suggerito dagli Autori dell’articolo su Trends in Plant Science, il primo problema potrebbe essere legato ad una sorta di essenzialismo psicologico che in modo innato ci porta a sviluppare categorie che nella forma attuale hanno la loro essenza nel DNA. Trasferire tratti di DNA può quindi essere percepito come un processo il cui risultato non è immediatamente compreso. La celeberrima fragola-pesce (l’esempio di OGM più citato in internet a dispetto della sua non esistenza) ben incarna questa situazione. Molti infatti hanno istintivamente il dubbio sul sapore che potrebbe avere una fragola con un gene di pesce, non solo perché può non essere così immediato distinguere concetti come gene e genoma o comprendere la funzione specifica del gene inserito, ma anche perché la nostra mente fatica a capire cosa possa derivare dall’unione di due oggetti che appartengono nel nostro cervello a categorie ben diverse.

Come ben spiegato da Vallortigara nell’articolo intitolato "Unico e originale: l’essenzialismo psicologico e le due culture": “l’essenzialismo è la tendenza a pensare agli animali, alle piante, alle persone e ad altre categorie sociali nei termini di “essenze nascoste”. L’essenzialismo è l’idea per cui certe categorie di cose (le donne, le lucertole, le razze, i quadri di Gauguin…) posseggono una loro natura interna, un’essenza per l’appunto, che definisce la loro identità e spiega le somiglianze tra i membri della stessa categoria”.

Come già suggerito da Vallortigara, questa nostra tendenza innata a costruire categorie può influenzare anche la percezione degli OGM perché “l’idea dell’essenzialismo psicologico è che i membri di una categoria siano tali perché condividono una qualche proprietà interna invisibile, l’essenza, che definisce la categoria stessa. I cani hanno una loro ‘caninità’ e i gatti una loro ‘gattinità’ nascosta, che è ciò che li rende diversi tra loro. Così, lo scambio di geni viene avvertito come una modificazione delle essenze degli organismi e, comprensibilmente, le persone ne sono turbate”.

Ma perché siamo essenzialisti se questo può portare a difficoltà nelle interpretazione di alcuni processi? Grazie a questo modo di procedere, il nostro cervello può raggruppare tra di loro oggetti simili e fare ipotesi su come potrebbero essere oggetti sconosciuti, ma che noi riusciamo a ricondurre a categorie che già abbiamo creato. Sulla base dell’esistenza di funghi velenosi, possiamo quindi stabilire che un nuovo fungo, mai visto prima e d’aspetto insolito, potrebbe essere velenoso. In questo caso l’essenzialismo potrebbe aiutarci suggerendoci di non alimentarci con il primo alimento trovato salvandoci da un possibile avvelenamento.

Quegli stessi meccanismi che Girotto, Pievani e Vallortigara hanno descritto alla base della difficoltà di fare propria la teoria dell’evoluzione (legate alla tendenza a cercare un progetto, una causa prima, un fine in tutto ciò che ci circonda) sono indicati da Stefaan Blancke come coinvolti anche nel regolare la nostra percezione degli OGM. In particolare, ad essere coinvolti sarebbero il pensiero teleologico e quello intenzionale.

Come ben descritto in diversi testi da Vallortigara, il pensiero teleologico nasce sostanzialmente dalla domanda “a che cosa serve?”. Questa domande è di fondamentale importanza in quanto interrogarsi sulla funzione di un oggetto ci aiuta a formulare ipotesi sulle sue proprietà e sul suo comportamento futuro. Il pensiero intenzionale invece è strettamente legato alla tendenza umana a ragionare in termini di intenzioni e scopi. Queste due forme di pensiero deriverebbero da una proprietà intrinseca della mente umana, evolutasi in un ambiente in cui ragionare in termini di scopi e intenzioni risultava altamente adattivo.

Perché questi automatismi ci renderebbero ostici gli OGM? La risposta è legata al fatto che siamo tendenzialmente portati a pensare che la natura si basi su un precostituito e stabile equilibrio in cui tutto quello che esiste, è presente per svolgere un dato scopo. Il nostro “intuito” ci suggerisce quindi che l’introduzione di OGM potrebbe andare a perturbare l’armonia dell’ambiente che ci circonda con conseguenze imprevedibili anche sulla nostra vita. Gli OGM quindi ci turbano perché non li percepiamo come parte della natura perché sono “non naturali” (vi rimando al libro Contro Natura recentemente pubblicato da Beatrice Mautino e Dario Bressanini in merito al concetto di naturale).

Secondo Stefaan Blancke infine gli OGM possono essere associati a una sensazione di disgusto perché a livello emotivo tendiamo a sovrastimare l’effetto che le manipolazioni genetiche potrebbero avere avuto sulla loro qualità alimentare. Questo potrebbe anche spiegare in parte perché le critiche siano molto più forti nei confronti dei cibi OGM rispetto alle medicine ottenute da piante OGM. Può non risultare chiaro capire cosa significhi che gli OGM sono stati prodotti in laboratorio, tanto che gli OGM sono spesso rappresentanti come frutti con siringhe infilzate e pronte a iniettare liquidi dei colori più strani a rinforzare l’idea dell’artificiosità dei metodi con cui sono ottenuti.

Da questa sensazione di disgusto può derivare un senso di paura nel consumare questo cibo e il senso comune, in modo inconsapevole, ci guida nelle scelte alimentari. Non ci credete? Se vi dicessi che esiste un tipo di “carne” ad altro contenuto proteico, con molti sali minerali e pochissimi grassi sareste interessati a consumarla? Anche se vi aggiungessi che ciò che vi sto proponendo di mangiare sono insetti? Se ben ci pensate, per abitudine mangiamo i crostacei, ma rifiutiamo gli insetti che spesso associamo ad ambienti sporchi.

Come gli stessi autori suggeriscono nella loro pubblicazione “questo non significa che la mente umana sia predeterminata per pensare che gli OGM sono pericolosi, disgustosi e innaturali. Tuttavia, una volta che queste rappresentazioni negative vengono proposte (…) la mente umana sarà molto suscettibile” a questo tipo di rappresentazione. Le immagini usate contro gli OGM sembrano quindi essere più facilmente credibili e “seducenti” rispetto all’immagine degli OGM come piante come tutte le altre (quali per altro sono!). Gli OGM sembrano quindi andare in contrasto con il nostro senso comune.

Come scrive lo storico della scienza Gilberto Corbellini in Scienza, quindi democrazia: “Il senso comune è un complesso di regole pratiche, cablate nella fisiologia nervosa dei nostri sensi e dei collegamenti che si instaurano senza una appropriata e consapevole istruzione, tra le mappe sensoriali del cervello e le aree associative che organizzano funzionalmente l’esperienza attraverso una selezione, basata sul confronto dei risultati, di aspettative prodotte spontaneamente sotto forma di schemi variabili di attività nervosa. Queste regole sono utili del tutto sufficienti per affrontare la vita di ogni giorno”.

Il senso comune può risultare quindi di aiuto perché permette di giungere ad un generalizzazione andando a trovare una soluzione in situazioni complesse. Purtroppo però, nel caso degli OGM è molto spesso errato cercare una generalizzazione, perché servirebbe una analisi caso per caso ma, come sottolinea Corbellini, “la disponibilità o l’impegno a mettere alla prova le spiegazioni e ad abbandonare le credenze che non superano i controlli sono qualcosa che non fa parte del nostro senso comune. Ovvero qualche cosa che non ci viene naturale. Il senso comune non è necessariamente sbagliato e costituisce un punto di partenza per qualunque indagine empirica. Solo che il senso comune non è funzionalmente strutturato per spiegare i fatti o per estendere il campo di applicazione delle credenze pertinenti a un particolare ambito dell’esperienza. Mira al risultato immediato e gli apparati cognitivi che lo supportano sono stati pesati, ovvero selezionati sulla base della fitness differenziale degli individui all’interno di una popolazione. Cioè per aiutare nella sopravvivenza e non per produrre conoscenza scientifica”.

Gli OGM sono quindi controintuitivi e questa è una seria difficoltà perché per superare gli automatismi del nostro senso comune è necessario che la maggior parte dei cittadini abbia la possibilità e l’interesse di acquisire una competenza approfondita su questa tematica. La pubblicazione di Blancke è a mio avviso molto importante per questo aspetto, perché il modello di diffusione della cultura scientifica ancora oggi considerato di riferimento in molte istituzioni italiane, mal si presta ad interfacciarsi con il modo in cui il nostro cervello lavora. Data la presenza di meccanismi innati con cui il nostro cervello lavora, non è sufficiente pensare di incrementare la quantità di informazioni per migliorare la qualità delle opinioni.

Questo studio non deve però indurre a pensare che le preoccupazioni mostrate sugli OGM siano tutte da marcare come irrazionali e quindi da rigettare. Serve invece sedersi attorno ad un tavolo e discutere di ciò che gli OGM sono nella realtà, mostrarne i vantaggi e svantaggi e dare tempo perché l’acquisizione di questa nuova conoscenza possa sostituire questa sorta di naturale diffidenza.

Come scrivono infatti Girotto, Pievani e Vallortigara in Nati per credere “capire che un comportamento è il frutto dell’evoluzione biologica della nostra specie non significa che sia, per questo, giusto di per sé, né che sia scolpito una volta per tutte nella pietra. E’ un errore purtroppo ancora diffuso quello di associare naturale a normale. (…) Essere consapevoli di come si sono evoluti i nostri vincoli cognitivi potrebbe essere una occasione per maneggiarli in modo più razionale”.

Nel 1871 Darwin parlando della teoria dell’evoluzione scriveva all’amico Thomas H. Huxley: “Sarà una lunga battaglia, anche dopo che saremo morti e sepolti. Grande è il potere del fraintendimento”. A quanto pare un analogo destino è toccato agli OGM.

Riferimento bibliografico: Blancke S, Van Breusegem F, De Jaeger G, Braeckman J, Van Montagu M (2015) Fatal attraction: the intuitive appeal of GMO opposition. Trends in Plant Science 20: 414-418.

domenica 20 settembre 2015

da "Il Post" - 20 settembre 2015



Scandalo ovale a Cardiff




Il castello di Cardiff è un edificio medievale di architettura vittoriana che si trova al centro di Cardiff, la capitale del Galles, nel Regno Unito. Oltre al famoso castello, a Cardiff c’è anche il Millenium Stadium, il più importante stadio gallese di rugby in cui si giocheranno alcune partite della Coppa del Mondo di rugby 2015, iniziata il 18 settembre. Per promuovere la Coppa de Mondo l’amministrazione comunale di Cardiff ha chiesto all’agenzia creativa Wild Creations di realizzare una particolare installazione pubblicitaria: una palla da rugby gigante “incastrata” tra le mura del castello.
L’installazione ha avuto molto successo ed è perfettamente a tema con un’altra iniziativa fatta per promuovere la Coppa del Mondo di rugby: alcuni giorni fa la compagnia telefonica O2 – sponsor della nazionale inglese – aveva realizzato un video animato in cui i giocatori inglesi erano rappresentati come dei giganti.
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Immaginate quale coro di benpensanti si solleverebbe in Italia per "la salvaguardia di un bene culturale, offeso e violentato da un'enorme palla da rugby". La Sovrintendenza di turno si sveglierebbe dal torpore burocratico, il quotidiano locale sparerebbe a zero, le "anime belle" si straccerebbero le vesti. I gallesi, gente pratica ed ironica, la pensano diversamente. Per fortuna loro ed anche nostra. (F. M.)

da "Associazione Italiana Wilderness - A.I.W.



Zunino: "sparare a vista ai cinghiali, anche nei Parchi!"



Per il Presidente dell'A.I.W. non serve un Commissario, come proposto da Ermete Realacci, ma dare il via libera ai cacciatori anche nei Parchi. 


 

Scrive Franco Zunino, Direttore generale dell'Associazione Italiana Wilderness (A.I.W.), in merito al problema "cinghiali" in Italia: "Non volendo operare e cercando tutte le scappatoie per tergiversare, ecco che tanto per tirare le cose per le lunghe, uno dei politici e leader animalisti ed anticaccia, ha proposto un Commissario straordinario per il problema del cinghiale. Così il problema non si risolverà ma per intanto sarà creata una nuova poltrona da occupare politicamente! Siamo proprio italiani!

La bella pensata è del Presidente della Commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci, già leader e/o sostenitore di una campagna referendaria contro la caccia.

Caro Realacci, un Commissario straordinario si nomina quando da anni non si riesce a risolvere un problema, pur avendole provate tutte; ad esempio, servirebbe per salvare l’Orso marsicano (vanamente proposto e dalla scrivente Associazione e dallo stesso ex Presidente del Parco Nazionale d’Abruzzo), ma non certo per il cinghiale, visto che basterebbe liberalizzare al massimo la caccia all’animale, consentendola anche dentro ai Parchi e alle Oasi almeno per un periodo di uno o due anni, ed il problema si risolverebbe. Ma è troppo facile, quindi sicuramente si studieranno tutti quegli inutili metodi che non hanno mai risolto nulla, e per contenere cinghiali e per contenere altre specie animali!

Pertanto, mettere prima dei paletti, stabilire delle regole, fare degli studi, creare della burocrazia, ed allora: voilà un bel Commissario straordinario! Affinché l’opinione pubblica che sta subendo danni sia calmierata e… tutto resti come prima!

Franco Zunino
Che di cinghiali ce ne siano più di un milione lo hanno scoperto adesso: fino a ieri hanno fatto di tutto per evitare provvedimenti risolutivi, con recinzioni elettriche e metodi anticoncezionali, catture per abbattere poi (ipocritamente!) gli animali nei macelli. Al risolutore venatorio invece, vita difficile: con leggi, laccioli, limitazioni delle aree di caccia, iscrizione ad albi o liste varie con tanto di tasse da pagare, metodi di caccia da cambiare, blocco dei calendari venatori, ecc. Ora scoprono l’emergenza, ed anziché risolverla, vogliono continuare a farlo in modo “serio e scientifico”: ovvero, leggasi mettendo i bastoni tra le ruote a chiunque voglia risolvere il problema con senso pratico. Realacci porta ad esempi ciò che è stato fatto finora in alcuni Parchi, ovvero ben poco, perché i metodi sono talmente costosi, farraginosi e lenti, che mentre catturano un cinghiale, la popolazione cresce di due: hanno creato un business, un lavoro!

Al solito si pensa sempre di prendere per i fondelli l’opinione pubblica, di risolvere i problemi con proclami o cambiando nome alle cose!

Non cambierà mai nulla in questo Pase fino a quando queste persone (sempre le stesse!) saranno a capo degli organismi che dovrebbero risolvere i problemi. Sicuramente si troverà modo di richiedere sovvenzioni europee per procedere intanto con gli ennesimi, inutili studi di fattibilità (ma qualche amico ne sarà certamente incaricato: poi ci verranno a magari a dire che ce lo chiede l’Europa!).

E poi, ci dice invece Realacci, ecco, la soluzione: la ricerca di “una specie antagonista” (leggasi il Lupo, che a suo volta è già un problema di suo ma che, come per il cinghiale, ci si rifiuta di riconoscere come tale: e quando sarà, magari ci proporranno un altro commissario!). E il fucile no? gli vorrei dire, come da anni si fa da altre parti di fronte a problemi similari? Certo, la questione è che da altre parti il problema lo vogliono risolvere, non solo cavalcare!".

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Zunino, da buon amante della pratica venatoria, si lascia andare ed indica nel coinvolgimento dei cacciatori nelle aree naturali protette, l'unico modo per fronteggiare l'armata di cinghiali (neanche fosse l'Isis) nel nostro Paese. Zunino evita con cura di occuparsi prima di tutto dei territori al di fuori delle aree naturali protette per concentrarsi su una formula che non regge se non come soluzione residuale e di finitura delle operazioni di cattura e, in questo modo, di prelievo selettivo dei cinghiali. La spinta formidabile che in questo periodo le associazioni venatorie stanno esercitando sui livelli politici nazionali, regionali e locali, fa perdere lo ben dell'intelletto. La verità sta nella dolosa sciagurata scelta dei cacciatori di inondare il Paese con ripopolamenti di cinghiali anche laddove si sapeva perfettamente non si sarebbe potuto procedere con "stermini di massa". Si sono spesi soldi pubblici, si sono violate norme di tutela della biodiversità e sanitarie per far divertire un manipolo, si direbbe a Bari, di "squagghiasole" (squagliasole) ed ora la questione sarebbe diventata un'emergenza! E, come si sa, dietro ogni emergenza si nasconde la frode, l'inganno, la negazione del diritto di conoscenza dei fatti e degli atti. Le Regioni, per esempio la Puglia che finora è vissuta nell'illusione della terra dei Parchi e della tutela della biodiversità (ma quando?), si attrezzino per gestire il problema secondo il diritto e la legalità, lasciando alle aree naturali protette la gestione della questione nei propri confini e concentrandosi, invece, nei territori al di fuori di esse. Ma per far questo ci vuole conoscenza, intelligenza, capacità di decisione, rispetto del diritto. Ho la sensazione di chiedere molto, forse troppo. (F.M.)

La posizione del WWF Italia sull'espansione delle popolazioni di cinghiale



Coinvolgere gli agricoltori nelle catture e sostenere le misure di prevenzione



La principale associazione protezionista italiana chiede che la "questione cinghiali" venga affrontata a livello nazionale unificando banche dati relative a indennizzo danni, capi immessi dagli A.T.C. e monitoraggi delle popolazioni.



Nell’esprimere il cordoglio alla famiglia delle vittime del tragico episodio in Sicilia il WWF Italia sottolinea come quella dei cinghiali sia un'emergenza nota e denunciata da anni di cui però mancano i dati reali su consistenza della popolazione, distribuzione, danni all’agricoltura.

Con lo spopolamento delle montagne e delle campagne sta aumentando in questi anni la fauna selvatica che fatica a trovare un equilibrio naturale, vista la carenza di predatori.
I grossi predatori, prima di tutto i lupi, che svolgono il ruolo di tenere sotto controllo le specie onnivore (come i cinghiali) e erbivore (come cervi e daini) non riescono a tenere contenere alcune specie come i cinghiali che hanno alti tassi di riproduzione.

Per gestire questa situazione dati scientifici certi sono la base per affrontare il problema.
Il WWF propone che si affidi all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ISPRA la gestione di una banca dati sul cinghiale e sui danni all'agricoltura in collaborazione con le Regioni, al fine di identificare le aree più critiche e vulnerabili e per pianificare su basi scientifiche il controllo delle popolazioni.

La gestione del cinghiale è competenza delle Regioni e delle Province nell'ambito della gestione faunistico venatoria ma ora non esiste una banca dati nazionale sul censimento della specie, come non sono noti i ripopolamenti che in alcune aree continuano ad essere effettuati dagli ATC (ambiti territoriali di caccia). Né sono quantificati i danni rilevanti provocati alle coltivazioni visto che anche in questo caso non esiste una banca dati nazionale.

Il WWF inoltre chiede che sull'emergenza cinghiali intervengano Ministero politiche agricole, ministero Ambiente insieme alla conferenza delle Regioni, con un decreto che faciliti il coinvolgimento degli agricoltori nella gestione delle catture e favorisca la promozione di filiere per la commercializzazione e trasformazione delle carni in modo legale.

Un cinghiale all'uscita di una gabbia di cattura
© F.Cianchi/WWF
Il decreto dovrebbe essere concertato dal Ministero politiche agricole e dal ministero Ambiente insieme alla conferenza delle Regioni e prevedere la possibilità per gli agricoltori che gestiscono le catture di trattenere e commercializzare gli esemplari catturati a parziale compenso del servizio fornito per il controllo. Inoltre occorre fornire agli agricoltori i recinti e trappole di cattura in comodato gratuito prevedendo un compenso per la gestione nell'ambito dell'applicazione degli articoli 14 e 15 del Dlgs 221 del 2001 (Legge orientamento in agricoltura)

I CINGHIALI IN ITALIA
In Italia come in tutta Europa esiste una sola specie di cinghiale, nome scientifico Sus scrofa.
Non ci sono quindi cinghiali alloctoni e autoctoni. Pur essendo vera l'immissione in natura nel nostro paese negli anni '60 del secolo scorso di cinghiali dei Carpazi, i cinghiali presenti in Italia sono dopo varie generazioni perfettamente adattati alle caratteristiche dei nostri habitat.
Le dimensioni e la prolificità del cinghiale possono variare molto in relazione alle caratteristiche degli habitat presenti. I cinghiali che vivono in boschi di querce o faggi in Appennino sono tendenzialmente più grandi dei cinghiali presenti nella macchia mediterranea.
  • Crescita esponenziale della specie
Il tasso riproduttivo del cinghiale può variare nel corso degli anni dal 100% al 200% in relazione all'andamento climatico in inverno ed estate ed alle disponibilità di cibo.
Una scrofa può partorire anche due volte in un anno, con oltre 10 piccoli a parto.
In un anno il numero dei cinghiali in una definita area può quindi potenzialmente raddoppiare o triplicare.

In condizioni naturali la disponibilità di cibo può essere un fattore limitante per la crescita della popolazione (il cinghiale è un onnivoro con grandi capacità di adattamento e versatile). L'agricoltura diffusa nel nostro paese anche in territori rurali marginali rende disponibile una grande quantità di cibo a costi energetici molto bassi per il cinghiale.

L'unico predatore naturale del cinghiale è il lupo, ma la popolazione di questo predatore in Italia (1.000 - 1.500 esemplari) non è in grado di condizionare in modo rilevante la dinamica della popolazione del cinghiale (un lupo può prelevare circa 200 cinghiali / anno per la sua alimentazione).
  • Carenza di dati
La gestione del cinghiale è competenza delle Regioni e delle Province nell'ambito della gestione faunistico venatoria. Non esiste una banca dati nazionale sul censimento della specie, come non sono noti i ripopolamenti che in alcune aree continuano ad essere effettuati dagli ATC (ambiti territoriali di caccia). Il cinghiale provoca danni rilevanti alle coltivazioni ma anche in questo caso non esiste una banca dati nazionale.

da "la Repubblica - ed. Milano" 19 settembre 2015



Razionalizzare gli enti di gestione delle aree protette. Perché no?



Una battaglia di principio in Regione Lombardia sull'unificazione dei Parchi regionali di Nord e Sud Milano. Ma il principio molte volte urta contro l'efficienza ed il buon senso.




giovedì 17 settembre 2015

da Ente Parco Nazionale dell'Alta Murgia - 16 settembre 2015



Festival della Ruralità - 3^ edizione



Anche quest'anno si parla di natura e di territori agricoli nell'importante rassegna che si svolgerà in aziende agro-zootecniche del Parco Nazionale dell'Alta Murgia




Si svolgerà dal 24 al 27 settembre la terza edizione del Festival della Ruralità, dedicato quest'anno al tema "Biodiverso per natura".
L'iniziativa, realizzata dal Parco Nazionale dell'Alta Murgia in collaborazione con Legambiente, è inserita nel programma di appuntamenti "Expo e territori" per Expo2015.
La manifestazione vivrà il suo prologo a Bari il 24 settembre, con una serie di attività che presenteranno i prodotti e le aziende del Parco nella centrale Piazza del Ferrarese e un incontro pomeridiano nel Foyer del Teatro Petruzzelli, alla presenza del Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, del Presidente di Legambiente Italia Vittorio Cogliati Dezza e del Presidente del Parco Nazionale dell'Alta Murgia Cesare Veronico.

Nei giorni successivi il Festival giungerà nella sua sede canonica: le aziende del Parco Nazionale dell'Alta Murgia in un programma che prevede una tappa a Minervino Murge (25/9 Masseria Barbera), una a Cassano Murge (26/9 Agriturismo Murà), una a Toritto (27/9 Fattoria della Mandorla).

Da segnalare, tra i numerosi appuntamenti, nella giornata del 25 settembre, ore 17:30 presso la Masseria Bàrbera (Minervino Murge - S.P. 230 - km. 5,850)  un importante dibattito su "Agricoltura: biotecnologie e biodiversità del futuro" con la presenza del genetista Antonio Michele Stanca, attualmente Professore a contratto di “Miglioramento genetico e OGM in agricoltura” presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e Presidente dell’Unione Nazionale delle Accademie per le Scienze Applicate allo Sviluppo dell’Agricoltura, Sicurezza Alimentare e alla Tutela Ambientale -UNASA-.

Sempre il 25 settembre, sempre presso Masseria Bàrbera, importante incontro su "L'agricoltura nelle aree protette: esperienze e buone pratiche a confronto", dove si discuterà dei nuovi Programmi di Sviluppo Rurale (P.S.R.) 2014-2020 con rappresentanti delle Regioni Emilia-Romagna, Marche e Puglia e con i rappresentanti del Parco Nazionale dell'Alta Murgia.

Il 27 settembre, presso la Fattoria della mandorla (Toritto - via Belvedere - Quasano), importante incontro sul "Piano di gestione del cinghiale nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia - Presentazione dei risultati dell'attività del Parco". Partecipano i rappresentanti della Regione Puglia, del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, di Federparchi e del Parco Nazionale dell'Alta Murgia.

Tutti gli eventi sono gratuiti.

Per info e prenotazioni è attivo il numero verde 800597636.

Per saperne di più: http://www.parcoaltamurgia.gov.it/images/2015/ProgrammaWebFR.pdf 

mercoledì 16 settembre 2015


da "ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale" 



L'impatto delle specie aliene invasive sulle specie autoctone a rischio di estinzione in Europa



Solo il 43,5% delle specie incluse negli allegati della Direttiva Uccelli e della Direttiva Habitat sono a rischio di estinzione, e molte specie gravemente minacciate non sono tutelate dalle norme comunitarie.



Su richiesta della Commissione Europea, ISPRA ha realizzato, in collaborazione con il gruppo specialistico sulle specie invasive dell’IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura), un’analisi degli impatti delle specie invasive sulla biodiversità Europea. Lo studio rappresenta un contributo alla analisi di medio termine sullo stato di implementazione della Strategia Europea sulla Biodiversità 2010-2020, ed è stato realizzato incrociando i dati relativi alle specie invasive contenuti nel Global Invasive Species Database, ospitato da ISPRA, con le Liste Rosse dell’IUCN.
I risultati dell’indagine evidenziano che le specie invasive rappresentano la terza più grave minaccia per la biodiversità Europea. Una specie su 5 di quelle a rischio di estinzione è infatti direttamente minacciata da specie invasive, che mettono in pericolo 145 specie a rischio critico di estinzione, 112 in pericolo e 128 vulnerabili.
Il principale meccanismo di impatto delle specie alloctone invasive è la competizione, seguito dal pascolo e dalla predazione.

Carpobrotus edulis (Fico degli ottentotti)
Alcune specie invasive causano impatti su un numero elevato di specie autoctone; per esempio il Carpobrotus, pianta di origine sudafricana importata in Europa a scopo ornamentale, minaccia ben 13 specie europee, mettendo in pericolo i delicati ecosistemi dunali della regione.
Un risultato interessante dello studio è anche che non c’è piena rispondenza tra le specie minacciate di estinzione e di quelle protette dalle Direttive Comunitarie. Solo il 43,5% delle specie incluse negli allegati della Direttiva Uccelli e della Direttiva Habitat sono a rischio di estinzione, e molte specie gravemente minacciate non sono tutelate dalle norme comunitarie.


da "l'Astrolabio" - Newsletter degli "Amici della Terra" n. 76 del 16 settembre 2015 - di Roberto Mezzanotte 



Ecoreati - Quando tutto è penale, il rischio che pochi paghino è enorme



Le modifiche al Codice penale in materia di illeciti contro l'ambiente



Con l’introduzione nel codice penale del Titolo “Dei delitti contro l’ambiente” sono state finalmente stabilite sanzioni commisurate alla gravità di comportamenti che erano prima puniti in modo assai lieve e spesso addirittura destinati a restare di fatto del tutto impuniti. La formulazione delle nuove norme, tuttavia, sembra presentare qualche criticità per quanto attiene alla precisa individuazione delle fattispecie dei reati ora previsti quali delitti.

Sono trascorsi oltre tre mesi dall’entrata in vigore della legge 68/2015, che ha introdotto nel codice penale nuovi articoli con i quali alcuni reati contro l’ambiente vengono sanzionati come delitti. Dopo la generale (e un po’ acritica) soddisfazione con cui le nuove norme sono state accolte dalla politica e dai media, si può oggi fare qualche riflessione su alcuni aspetti problematici, che peraltro gli operatori del diritto avevano evidenziato già in fase di elaborazione del testo.

Va subito detto che, a giudizio di chi scrive, i motivi di soddisfazione sono ben fondati e che le riserve, pure espresse, non hanno mai riguardato il “se”, ma solo il “come”, suggerendo quei correttivi o quelle integrazioni che avrebbero potuto prevenire possibili difficoltà in fase di applicazione delle nuove norme, garantendo quindi la loro maggiore efficacia.

Come è noto, prima che la legge 68 venisse promulgata, i reati contro l’ambiente – con le sole eccezioni delle due fattispecie di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e, di più recente introduzione, di combustione illecita di rifiuti, già previste quali delitti – avevano tutti solo natura contravvenzionale. Per i reati di tale natura, la legge, in termini generali, prevede pene che vanno da cinque giorni sino a un massimo di tre anni di arresto, oltre a un’eventuale ammenda, la quale può anche peraltro costituire, per fattispecie minori, l’unica pena. Si vede dunque che, anche laddove per una singola fattispecie sia prevista la pena massima irrogabile per una contravvenzione, essa non può comunque riflettere il pesante disvalore che nel sentire comune viene oggi attribuito agli atti più gravi perpetrati contro l’ambiente. Tra l’altro, alla lievità delle pene corrisponde una brevità dei termini di prescrizione dei reati, che restano pertanto di fatto impuniti. Infatti, tenendo anche conto del tempo che per questo genere di reati può spesso intercorrere tra il loro compimento e il momento in cui vengono scoperti, è assai difficile che entro tali termini i procedimenti vadano oltre il primo grado di giudizio. Oltre alla sostanziale impunità, ne consegue che l’effetto di deterrenza delle sanzioni vi è, di fatto, solo per chi di tale effetto non avrebbe forse neppure bisogno.

Queste considerazioni appaiono ampiamente sufficienti a dimostrare la necessità che ai più gravi reati contro l’ambiente venisse attribuita la natura di delitto. Essa consente infatti la previsione della pena detentiva della reclusione, ben più commisurabile alla loro gravità, oltre che di pene pecuniarie (multe) di entità più elevata. La classificazione di reati come delitti rende poi possibile il ricorso a strumenti di indagine quali le intercettazioni e l’adozione di misure cautelari che impediscano la loro reiterazione.

Inoltre, una legge che prevede che i più gravi reati ambientali siano puniti quali delitti può essere vista, per gli stessi motivi sopra accennati, anche come un perfezionamento dell’attuazione della Direttiva 2008/99/CE, che, per i reati contro l’ambiente, richiede agli Stati membri di stabilire sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive.

venerdì 11 settembre 2015

da "The Economist" - 12 settembre 2015



I ramarri delle isole greche evolvono verso il vegetarianesimo



Un'equipe di studiosi dell'Università di Atene scopre l'adattamento in corso in esemplari raccolti nell'arcipelago delle Cicladi




Molte specie di erbivori discendono da lignaggi carnivori. Infatti, adorabili panda giganti - divoratori di bambù - appartengono all'ordine dei carnivori. E' però raro notare questo passaggio evolutivo verso il vegetarismo bel momento in cui si manifesta. Ora un team di biologi ha fatto con una lucertola.
Ramarro verde balcanico (Lacerta trilineata) - foto Tommy Sandberg
I ramarri verdi balcanici (Lacerta trilineata) abitano l'arcipelago greco e la terraferma. Formalmente sono insettivori che occasionalmente si nutrono di piante. Ma Kostas Sagonas dell'Università di Atene, ha sospettato che la scarsità di cibo nelle isole greche può condurre i ramarri che vivono lì a cibarsi di piante più spesso di quanto facciano i loro parenti in terraferma. Per scoprirlo,  Sagonas ha misurato la forza del morso delle lucertole. Sapeva, da studi precedenti, che specie erbivore tendevano ad avere mascelle più forti dei carnivori, tali da tagliare materiale vegetale duro. Questo sospetti sono state confermati quando ha scoperto che le lucertole delle isole avevano una forza media del morso maggiore del 18% di quella delle lucertole sulla terraferma. L'analisi di ciò che le lucertole mangiavano, studiando il contenuto dello stomaco e del materiale fecale, ha mostrato che gli abitanti delle isole consumano il 30% di materiale vegetale in più di quelli continentali. Queste scoperte, pubblicate su Science of Nature hanno portato Sagonas a chiedersi se un aumento erbivori potrebbe essere alla guida di altri cambiamenti nelle lucertole delle isole. Sagonas ed i suoi colleghi hanno raccolto 74 esemplari, la metà dalle isole di Andros e Skyros, l'altra metà da due postazioni continentali, lago di Stymphalia e l'altopiano di Karditsa. I ramarri hanno avuto un paio di settimane per acclimatarsi in un laboratorio con una dieta di vermi. Ogni lucertola è stata quindi alimentata un singolo verme con un piccolo marcatore di plastica incorporato al suo interno. I ricercatori hanno cronometrato il tempo impiegato dal marcatore per viaggiare attraverso i sistemi digestivi dei ramarri: 23% in più, in media, per i ramarri dell'isola. Ciò ha suggerito che gli intestini dei ramarri isolani potrebbe in realtà essere più lungo. Così, i ricercatori hanno deciso di guardare all'interno degli apparati digerenti.
Per saperne di più: http://www.economist.com/news/science-and-technology/21664061-scientists-find-island-lizards-evolving-herbivores-veggies-making?fsrc=scn/tw/te/pe/ed/Veggiesinthemaking 

















http://www.economist.com/news/science-and-technology/21664061-scientists-find-island-lizards-evolving-herbivores-veggies-making?fsrc=scn/tw/te/pe/ed/Veggiesinthemaking

giovedì 10 settembre 2015

Cinghiali, ancora cinghiali


Un commissario ad acta per eliminare cinghiali nei Parchi Nazionali?



Secondo Ermete Realacci ed Enrico Borghi (PD) gli Enti gestori di alcune aree naturali protette non sono in grado di affrontare la questione. Ma il commissariamento non sembra la strada giusta.



Scrive Ermete Realacci, Presidente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera , sul suo sito (www.ermeterealacci.it): “La grande proliferazione della fauna selvatica e in particolare dei cinghiali, che secondo stime Ispra hanno ormai superato il milione di esemplari, sta causando danni ingenti alle colture agricole e anche alcuni gravi incidenti all’uomo. La situazione ha assunto di fatto dimensioni e caratteristiche di una vera e propria emergenza, da superare avendo
Ermete Realacci
come bussola la gestione degli equilibri ecologici. In particolare i nostri Parchi Nazionali, che hanno strumenti in più rispetto al resto del territorio per governare questo fenomeno con rigore, sono le istituzioni che meglio si possono candidare ad affrontare il problema in modo serio e scientifico. Sono diversi i Parchi Nazionali che già attuano con successo ed efficacia le linee guida dell’Ispra per la gestione del cinghiale mentre altri, pur avendo a disposizione risorse, le hanno implementate in maniera parziale e insufficiente. Per questo ho presentato insieme al collega Borghi un’interrogazione parlamentare al ministero dell’Ambiente per invitare il Ministro Galletti a nominare un commissario ad acta per affrontare la questione della proliferazione incontrollata dei cinghiali anche in quei Parchi Nazionali che non stanno provvedendo alla gestione del problema”,
“Questo – prosegue Realacci - per ottenere il pieno contributo dei Parchi Nazionali alla risoluzione di un problema che va ben oltre i confini e le competenze degli stessi e che, interessando gran parte del nostro territorio, chiama in causa anche la responsabilità di altri enti ed istituzioni. Come testimoniato anche dal recente allarme di Coldiretti, Cia e Confagricoltura sui danni causati all’agricoltura dalla fauna selvatica, il cinghiale rappresenta la parte preponderante del problema viste le sue caratteristiche, le sue abitudini alimentari e l’assenza di una specie animale antagonista. È bene
ricordare, infatti, che negli Anni Sessanta a seguito della loro estinzione e per favorire la caccia, i cinghiali furono reintrodotti in massa con esemplari dei Carpazi, più forti e prolifici, di maggiori dimensioni e conseguentemente con impatto sull'ambiente più alto rispetto ai cinghiali nostrani”.
Il testo dell'interrogazione è reperibile all'indirizzo internet: http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/10286&ramo=CAMERA&leg=17.
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Vien da commentare l'iniziativa del Presidente Realacci. Giusto due parole. Che senso ha chiedere al Ministro dell'Ambiente di nominare commissari ad acta per sopperire all'inazione di alcuni Enti Parco Nazionali in materia di gestione dei cinghiali e della fauna selvatica in genere? Lo strumento del commissariamento è stato abusato in passato e non ha prodotto alcun miglioramento negli Enti Parco che ne sono stati oggetto. Parliamo dei commissariamenti per fatti gravi e per illegittimità prodotte dagli stessi. Anzi, i commissariamenti, a volte, nascondevano altro. Poi, ci sono stati i commissariamenti non determinati da cattivi comportamenti degli Enti Parco ma da semplici beghe di potere, da nomine che non si riuscivano a fare. Pessimo esempio di gestione della cosa pubblica, stigmatizzata dalla Corte dei Conti in modo forte e chiaro. Insomma, i commissariamenti non portano mai buone cose. Le emergenze, quasi sempre dichiarate, quasi mai dimostrate, non portano buone cose. Non portano soluzioni ma altri problemi. Ed i cinghiali, non sono un'emergenza: sono un problema determinato dal mondo venatorio, che deve essere affrontato come lo stanno affrontando con caparbietà, legalità ed efficacia, molti Enti Parco. Anziché nominare commissari ad acta, quindi, è necessario che gli Enti Parco si confrontino costantemente tra loro e con il Ministero dell'Ambiente (ma anche con quello della Salute) . E' necessario che il Ministero dell'Ambiente verifichi se e quali Regioni hanno un corredo normativo in grado di affrontare il problema. E' necessario che le autorità sanitarie locali sappiano in che cosa consiste il problema, senza andar dietro a interpretazioni normative di questo o quel Regolamento comunitario. E' necessario che le pubbliche amministrazioni parlino tra loro, comunichino buone pratiche ed errori, che si confrontino, subito, con chiarezza e che si metta mano, se del caso, a norme e procedure per gestire il fenomeno cinghiali. E' necessario organizzarsi. Solo questo. Gli atti si producono senza i commissari.

In Inghilterra Wildlife Trust chiede impegni al Cancelliere dello Scacchiere



"Caro George, non tagliare i fondi per la protezione della natura"



Il Governo di Sua Maestà alle prese con una spending review su cui ha chiesto il parere ai cittadini. Ma ha anche istituito un Comitato per applicare politiche di vantaggio fiscale per la tutela del capitale naturale.



E' noto che il Governo di Sua Maestà e la stessa Regina in Inghilterra trattano i cittadini non certo come "sudditi", nonostante l'invalsa terminologia, ma come veri protagonisti delle scelte politiche ed economiche. Certo, ci sono svarioni anche lì, come, ad esempio, le bugie raccontate da Tony Blair sulla necessità di intervento in Iraq (cosa per la quale non è stata fatta giustizia).
Wildlife Trust, la più importante associazione britannica per la protezione della natura, ha scritto direttamente a George Osborne, 44 anni, Ministro dell'Economia e delle Finanze (Cancelliere dello Scacchiere, in Inghilterra) perché il 4 settembre è scaduto il termine entro il quale qualunque cittadino ed organizzazione britannici poteva inviare e-mail per dire la propria su come articolare la spesa governativa nei prossimi anni.
Ad inviare la lettera per Wildlife Trust, è stato Phil Rothwell che per 35 anni ha lavorato nella politica di gestione ambientale e dei bacini idgografici. il quale suggerisce un approccio diverso alla spesa pubblica - quella di cui devono beneficiare la natura e del persone.
Uno scorcio del Peak District National Park
"Quando George Osborne vagava per il Peak District in camper l'estate scorsa - scrive Rothwell - scommetto che non contemplava l'enigma economico che è la gestione della montagna. Perché è negli altipiani del Regno Unito che la perversione del nostro sistema di contabilità nazionale è più crudamente bizzarro e visibilmente evidente." Secondo Rothwell gli altipiani inglesi sono cambiati radicalmente nel corso degli anni divenendo un paesaggio senza alberi, aggrediti da incendi e sovrapascolo. Sempre secondo Rothwell, il contribuente britannico paga due volte, una per l'inquinamento e per farvi fronte un secondo momento. "Qualche tempo fa - prosegue Rothwell - il governo ha istituito il Natural Capital Committee (Comitato per il Capitale Naturale) per esaminare questi problemi politici e fiscali. Sotto la guida del famoso economista Professor Dieter Helm questo gruppo di grandi cervelli e di saggezza popolare ha prodotto un report di supporto per un cambiamento significativo del sistema di contabilità nei nostri paesi. Esso suggerisce che, oltre alla contabilità finanziaria, dobbiamo investire tempo e pensiero per un sistema di contabilità naturale che ci permetta di assicurare, nelle decisioni al più alto livello, che la perdita continua della nostra biodiversità naturale sia reversibile ma in modo che se ne riconosca l'effettivo valore sociale e che riduca la perversa logica circolare della nostra cornice fiscale e politica. E, dopo tutto, anche se vi è una dimensione finanziaria in questo processo - il Comprehensive Spending Review è il mezzo con cui saranno determinati la spesa pubblica ed il relativo processo decisionale - abbiamo bisogno di ricordare il valore della natura e il ricco tessuto della vita naturale che, alla fine, ci fornisce tutto ciò che non può essere misurato soltanto in libbre e pence".
Insomma, una gran bella lezione dalla "perfida Albione", che dovrebbe farci riflettere sul reale peso della tematica "conservazione della biodiversità" nei Paesi U.E più avanzati, quelli che ritengono che la tutela del capitale naturale di un Paese sia oggetto di politiche economiche e fiscali.

Per saperne di più: http://www.wildlifetrusts.org/blog/thewildlifetrustsblogger/2015/09/04/dear-george


domenica 6 settembre 2015

da "The Economist" - 05 settembre 2015



Tracciare le regole della pesca



Per disciplinarla è necessario avere i dati.



I pescatori oceanici sono costantemente alla ricerca di nuovi luoghi per esercitare il loro mestiere, appena esauriti quelli vecchi. Così, nel 1970, gli equipaggi dei pescherecci europei si sono rivolti al profondo fondale dell'Atlantico nord-orientale per sostituire le acque poco profonde della piattaforma continentale più vicine a casa ma che erano state depredate quasi del tutto. Ma non era l'unico motivo. Uno studio pubblicato nel 2009 ha suggerito che nelle più profonde delle loro acque - quelle con un fondale più vicino di 1.500 metri dalla superficie - i rendimenti erano scesi del 70 % in 25 anni. Anche a profondità maggiori, il calo è stato del 20%. Per cercare di arginare questo declino, l'Unione Europea, che regola la pesca in gran parte della zona, ha proposto di limitare la profondità alla quale la pesca a strascico può aver luogo. Questa scelta, in effetti, potrebbe creare una riserva marina sotto la profondità stabilita, una forma di protezione supplementare al sistema delle quote specie-specifiche che già esiste. La questione è dove deve essere disegnata la linea di sotto della quale è vietata la pesca a strascico d'altura. E, fino ad ora, ci sono stati pochi dati scientifici per sostenere tale decisione. Ora, però, c'è un'inversione di tendenza con la recente pubblicazione in "Current Biology", di uno studio condotto da Joanne (Jo) Clarke dell'Università di Glasgow e Francis Neat del Marine Scotland Science, un ente governativo scozzese. Il loro lavoro suggerisce che la linea oltre la quale non bisogna andare sarebbe ad una profondità di 600 metri, oltre la quale quale il Università di Aberdeen e St Andrews. Questi dati sono stati raccolti sulle specie catturate ed anche sulle profondità delle reti a strascico utilizzate, che variavano da 250 a 1.500 metri. (Lo studio in questione è stato oggetto del mio post https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=4229761066013974600#editor/target=post;postID=6713670202342384819;onPublishedMenu=allposts;onClosedMenu=allposts;postNum=0;src=postname).
danno ecologico causato dalla pesca a strascico aumenta sensibilmente. Clarke e Neat motivano la loro conclusione in base ai dati raccolti tra il 1978 e il 2013 dal Marine Scotland Science e dalle
I ricercatori fanno notare che la biodiversità aumenta con la profondità. In media, ogni 100 metri vio è un aumento di 18 specie ittiche. Molte di queste, però, sono di scarso valore commerciale. Una volta catturate vengono ributtate in mare, ma la maggior parte dei capi pescati è morta. L'impatto della pesca a strascico oltre i 600 metri è maggiore perché le specie di acque profonde tendono a crescere più lentamente rispetto a quelle che vivono vicino alla superficie ed hanno tassi di fecondità più bassi.
Per saperne di più: http://www.economist.com/news/science-and-technology/21663195-when-regulating-fishing-it-always-helps-have-data-drawing-line?fsrc=scn/tw/te/pe/ed/Drawingtheline

da "Nature" - 02 settembre 2015 - Colin Macilwain



Il rifiuto delle coltivazioni OGM non è un fallimento per la scienza (ma siamo oltre gli OGM)




Qualsiasi cosa decidano i Paesi che oggi si oppongono alle coltivazioni di Organismi Geneticamente Modificati sul proprio territorio, la posta in gioco non è ormai più così rilevante. La decisione dell'Europa è ininfluente.



La scorsa settimana l'agenzia Reuters riportava che la Germania aveva scelto di continuare ad applicare la moratoria delle coltivazioni di organismi geneticamente modificati sul proprio territorio. La decisione incontrerà senza dubbio una raffica ben orchestrata di critiche. Quando il governo scozzese ha fatto la stessa cosa il mese scorso, la sua decisione è stata duramente condannata da biologi vegetali e leader scientifici come Anne Glover, ex capo consigliere scientifico del presidente della Commissione europea. I critici dipingono il divieto come un affronto alla scienza ed al principio che la normativa dovrebbe essere basata su evidenze scientifiche.
Ma sono tranquillo circa le decisioni di moratoria di Scozia, Germania, Francia, Italia e degli altri Paesi di resistere alle pressioni delle imprese e di mantenere la tecnologia colturale OGM fuori dalla campagna europea. Attendo con interesse la risposta dell'Inghilterra circa l'accordo che l'Unione europea ha raggiunto lo scorso dicembre con il quale permette agli Stati membri di fare le proprie scelte in materia di autorizzazioni alle colture OGM.
Qualunque cosa queste Nazioni decidano, la posta in gioco non è più così elevata come una volta. Quando gli Stati Uniti hanno iniziato ad autorizzare la coltivazione OGM dei semi di soia e mais 20 anni fa, molti produttori pensavano che l'accettazione globale della tecnologia avrebbe pesato molto sulle decisioni europee. Ciò, probabilmente, non è lontano dal vero. La superficie globale delle colture OGM è cresciuta costantemente, senza un'ampia accettazione da parte dell'Europa. Ora è al massimo. L'anno scorso, però, è cresciuta solo di circa 181 milioni di ettari (3%), secondo i dati di settore, poco più di un decimo dei 1,5 miliardi di ettari che le Nazioni Unite stimano essere coltivati con OGM.
Cinque sesti della superficie con coltivazioni OGM è nelle Americhe. Il resto consiste principalmente di colture non alimentari (soprattutto cotone) coltivati ​​in India e in Cina. Poco, dei prodotti OGM, è nelle Nazioni che hanno bisogno di rese migliorate per nutrire la popolazione. In vent'anni, i ceppi OGM attualmente coltivati sono ancora più adatti alle esigenze dei grandi agricoltori industriali che possono permettersi i semi, le tecniche di coltivazione ed i trattamenti che li accompagnano. Qualunque sia la decisione dell'Europa, il resto del mondo non è in attesa di seguire il suo esempio.
Questa volta, il dibattito europeo sulle colture OGM non si è incentrato sulle stesse, ma su come le Nazioni dovrebbero valutare e gestire i rischi derivanti. Quando l'Europa ha voltato le spalle alle colture geneticamente modificate 15 anni fa, la lobby pro-OGM ha detto che ciò segnalava un continente in crisi, non disposto ad abbracciare il futuro. Ma, da allora, l'Europa ha dato scarsi segnali di avversione alla tecnologia. Non ha rallentato e non ha rifiutato medicamenti sanitari basati su nanotecnologie o telefoni cellulari, di cui è stata la consumatrice più veloce al mondo. Nonostante l'episodio OGM, la politica basata sulle evidenze scientifiche è viva e vegeta in Europa. Ma la buona gestione del rischio coinvolge la comunicazione iniziale con il pubblico e l'attenta valutazione di molti fattori, non solo la valutazione scientifica del rischio. In generale, tuttavia, l'industria - che di solito detiene la maggior parte dei dati rilevanti - favorisce la valutazione scientifica del rischio come principio e fine delle regole (si veda Nature 508, 289; 2014) . Gli ambientalisti - anche quelli "dolci", come la Commissione Europea e l'ex vicepresidente americano Al Gore - preferiscono il principio di precauzione, che pone l'onere della prova sull'innovatore .
Per saperne di più: http://www.nature.com/news/rejection-of-gm-crops-is-not-a-failure-for-science-1.18271?WT.mc_id=TWT_NatureNews 

Libellule a Bari


Eleganza e leggerezza sul balcone


E' sempre piacevole alzarsi la mattina e catturare immagini degli insetti più eleganti che frequentano i balconi di una città per loro poco ospitale come Bari



Crocothemys erytrea

sabato 5 settembre 2015

Intervento del Consigliere regionale Mario Conca (M5S)



Cinghiali e Parco Nazionale dell'Alta Murgia



Il problema resta quello della poca informazione. Si considera un fenomeno naturale un'emergenza con tutto quel che ne consegue mentre fino ad ora la Regione non ha mosso un dito. Si spera in Emiliano.



Il Consigliere regionale pugliese, Mario Conca del Movimento 5 Stelle, interviene, con il comunicato che pubblichiamo di seguito, sulla questione della presenza di cinghiali nel territorio del Parco Nazionale dell'Alta Murgia, dopo aver partecipato ad un incontro sul tema organizzato dallo stesso Ente Parco a Ruvo di Puglia nel pomeriggio di mercoledi 9 settembre. Nel comunicato, Conca coglie nel segno quando chiama alla responsabilità i vertici della Regione Puglia che, su questo tema, ancora non si sono espressi. Certo, non si può addebitare alla Giunta "Emiliano" alcunché su questo argomento, mentre molto si può e si deve addebitare ai vertici politici ed amministrativi delle scorse legislature che, pur investiti della questione dallo stesso Ente Parco e dalla Prefettura di Bari, e pur avendo ricevuto tutta la collaborazione possibile, sono rimasti inerti. Speriamo che la situazione sia recuperabile.

Mario Conca
"Un numero inverosimile di cinghiali selvatici, si parla di circa 4 mila esemplari, popola, dagli inizi degli anni 2000, la zona del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Una specie non autoctona la cui massiccia presenza configura da anni una stangata per coltivatori ed operatori economici del territorio, se si considera che puntualmente svariate tipologie di raccolto (leguminose, mandorle, frutta) vengono ogni anno compromesse e fabbricati come muretti a secco o recinzioni danneggiati.
“La condizione vissuta dagli agricoltori dell’Alta Murgia, in relazione alla invasiva presenza di un numero spropositato di cinghiali, è senza dubbio drammatica – dichiara il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, Mario Conca. Che sottolinea: “Più preoccupante è tuttavia il pericolo che le mandrie di suidi costituiscono per la pubblica incolumità. Non penso solo agli incidenti stradali o ai problemi di viabilità, un recente episodio di cronaca ci ricorda che disgraziatamente si può anche morire sbranati dall’animale”.
Mercoledì si è tenuto un incontro a Ruvo (foto in allegato), presso gli uffici del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, per discutere ed affrontare il problema alla presenza del presidente Cesare Veronico, di alcuni dirigenti dell’Ente, dell’associazione Coscienza collettiva, degli imprenditori agricoli, delle istituzioni locali e dello stesso consigliere Mario Conca che tuttavia specifica: “Solo un intervento della Regione Puglia potrà definitivamente risolvere il problema perché, se è pur vero che l’Ente Parco ha già catturato diverse decine di esemplari con l’ausilio di gabbie, ancora tantissimi sono quelli che occupano la zona e, per fondi necessari e competenze territoriali che potrebbero valicare quelle dei confini del Parco, solo il governo regionale può essere in grado di affrontare efficacemente e soprattutto in maniera risolutiva la questione".
"Chiederò pertanto al Presidente Michele Emiliano ed all’Assessore competente Di Gioia - conclude - di attivare il prima possibile un tavolo tecnico che coinvolga l’Ente Parco, le istituzioni locali e i rappresentanti degli agricoltori e dei cittadini dell’Alta Murgia e verificheremo se la Regione si prenderà le proprie responsabilità nel risolvere un sentito problema che da tempo affligge la comunità murgiana".

da "La Provincia" di Como - 05 settembre 2015


I lupi al confine con la Svizzera


Sperando che le autorità elvetiche non ripetano le azioni di rappresaglia adottate contro gli orsi





venerdì 4 settembre 2015

da "Ecological Entomology" (2015), 40 (Suppl. 1), 12–21


I servizi agro-ecosistemici, i dis-servizi nei mandorleti e l'influenza del paesaggio


Convegno su "Agroecosistemi: dalla qualità dell'ambiente alla qualità delle produzioni"
Parco Nazionale dell'Alta Murgia
L'influenza simultanea di habitat specifici sui servizi agro-ecosistemi, dis-servizi e le loro interazioni, sono in gran parte sconosciuti. Habitat naturali e semi-naturali e terreni coltivati ​​circostanti, possono supportare i servizi ecosistemici e i dis-servizi ed il loro saldo netto è importante per guidare il processo decisionale in agricoltura. E' stato provato, in Israele, come gli habitat naturali e semi-naturali ed i circostanti mandorleti influenzino: i servizi di controllo dei parassiti; i dis-servizi di predazione da parte della vespa del mandorlo (Eurytoma amygdali End.) e i dis-servizi di predazione del seme da parte degli uccelli granivori. Quest'ultimo potrebbe fornire servizi di igiene dopo il raccolto quando si consumano mandorle infestate da vespe del mandorlo.
Diciassette mandorleti sono state indagati, circondati da percentuali variabili di habitat naturali e semi-naturali. Sono state raccolte mandorle per identificare l'infestazione da vespa del mandorlo e la sua abbondanza; è stata monitorata l'alimentazione degli uccelli indicatori. La predazione della vespa del mandorlo è stata positivamente influenzata dagli habitat semi-naturali ed in modo maggiore ai confini del frutteto. L'abbondanza del parassita non è stata influenzata dagli habitat naturali o semi-naturali.
Gli habitat naturali non hanno influenzato i servizi ecosistemici o dis-servizi studiati
nei mandorleti in Israele.

Pertanto , la protezione degli habitat naturali per la conservazione non è comunque penalizzante per gli agricoltori. 

Gli habitat semi-naturali aumentano i parassiti, ma nessun collegamento diretto ai servizi o dis- servizi da parte di uccelli è stata osservato.

Ne consegue che è auspicabile un approccio più olistico, tenendo conto dei diversi servizi e dis-servizi agro-ecosistemici ed il loro collegamento con diversi tipi di habitat per gestire in modo più sostenibile l'agricoltura.

Per saperne di più: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/een.12244/epdf

giovedì 3 settembre 2015

M5S all'attacco sulla caccia in Trentino



I cacciatori attrezzano punti di alimentazione per "giocare al tiro a segno"




Riapre la stagione della caccia in Trentino, e con essa tornano i problemi. Il Consigliere Provinciale Filippo Degasperi del M5S ha presentato un’interrogazione presso il Consiglio Provinciale chiedendo conto dei numerosi punti di foraggiamento (o di adescamento?) presenti sul territorio trentino e da considerarsi in violazione delle determinazioni provinciali in materia caccia ed appostamenti: «La documentazione fotografica in nostro possesso dimostra oltre ogni ragionevole dubbio come si operi fuori dalle norme preposte per il foraggiamento degli animali, in particolar modo degli ungulati. Strutture, periodo e soprattutto tipo di mangime non corrispondono a quanto prescritto, ed appare
chiaro come lo scopo di queste stazioni, tenute attive anche ad agosto, sia solo di assuefare cervi e caprioli abituandoli a cibarsi in precisi luoghi in modo da aver gioco facile nell’abbatterli una volta aperto il periodo venatorio. A parte che risulta davvero difficile capire dove sarebbe lo «sport» in simili sotterfugi, la domanda che ci poniamo è come sia possibile che veniamo informati noi di queste strutture fuori norma prima delle autorità preposte. In Trentino ci sono almeno 3 entità che in teoria dovrebbero vigilare su situazioni come quella presentata. Parliamo di corpo forestale provinciale, guardacaccia ACT e custodi forestali comunali o dei consorzi di vigilanza boschiva. Come sia possibile allora che nessuno si sia accorto di quanto riportiamo appare inspiegabile, e richiede quindi chiarimenti. Oltre a questo vogliamo sottolineare come la Provincia di Trento finanzi tutt’ora l’ente privato gestore della caccia con centinaia di migliaia di euro. Di fronte ad esempi di evidenti manchevolezze come quelli riportati riteniamo assai opportuno prendere in considerazione il ritiro della convenzione che lega la Provincia all’ente in questione per quanto riguarda la vigilanza».

da "Nature" - 02 settembre 2015


La corsa degli animali ai raggi X


Software che tracciano il movimento degli animali, aiutano i ricercatori a fare luce nei più svariati campi.



Il paleontologo Stephen Gatesy vuole riportare creature estinte alla vita - virtualmente parlando. Quando studia attentamente gli scheletri fossili di dinosauri e di altri animali estinti, cerca di immaginare come camminavano, come correvano o volavano e come tali movimenti si siano evoluti nelle andature dei loro discendenti moderni. "Sono un tipo molto visionario ", dice. Ma i fossili sono senza vita e statici e solo Gatesy può parlarne così tanto. Quindi si affida a XROMM, un pacchetto software che ha sviluppato con i suoi colleghi della Brown University di Providence, Rhode Island. XROMM (Ricostruzione ai raggi X della Morfologia del Movimento) la cui tecnologia deriva da quella di "motion capture", in cui più telecamere filmano un oggetto in movimento da diverse angolazioni , e marcatori sullo stesso oggetto rendono l'immagine in 3D elaborata da un programma specifico. La differenza è che XROMM non utilizza telecamere ma macchine a raggi X che riprendono ossa e articolazioni in movimento all'interno creature vive come maiali, anatre e pesci. Capire come i movimenti si relazionano alla struttura ossea degli animali, può aiutare i paleontologi a determinare quali movimenti sarebbero stati possibili per le creature oggi fossilizzate. "E ' un approccio completamente diverso per lo studio dell'evoluzione", dice Gatesy .
Per saperne di più: http://www.nature.com/news/motion-studies-see-how-they-run-1.18258