mercoledì 16 settembre 2015


da "l'Astrolabio" - Newsletter degli "Amici della Terra" n. 76 del 16 settembre 2015 - di Roberto Mezzanotte 



Ecoreati - Quando tutto è penale, il rischio che pochi paghino è enorme



Le modifiche al Codice penale in materia di illeciti contro l'ambiente



Con l’introduzione nel codice penale del Titolo “Dei delitti contro l’ambiente” sono state finalmente stabilite sanzioni commisurate alla gravità di comportamenti che erano prima puniti in modo assai lieve e spesso addirittura destinati a restare di fatto del tutto impuniti. La formulazione delle nuove norme, tuttavia, sembra presentare qualche criticità per quanto attiene alla precisa individuazione delle fattispecie dei reati ora previsti quali delitti.

Sono trascorsi oltre tre mesi dall’entrata in vigore della legge 68/2015, che ha introdotto nel codice penale nuovi articoli con i quali alcuni reati contro l’ambiente vengono sanzionati come delitti. Dopo la generale (e un po’ acritica) soddisfazione con cui le nuove norme sono state accolte dalla politica e dai media, si può oggi fare qualche riflessione su alcuni aspetti problematici, che peraltro gli operatori del diritto avevano evidenziato già in fase di elaborazione del testo.

Va subito detto che, a giudizio di chi scrive, i motivi di soddisfazione sono ben fondati e che le riserve, pure espresse, non hanno mai riguardato il “se”, ma solo il “come”, suggerendo quei correttivi o quelle integrazioni che avrebbero potuto prevenire possibili difficoltà in fase di applicazione delle nuove norme, garantendo quindi la loro maggiore efficacia.

Come è noto, prima che la legge 68 venisse promulgata, i reati contro l’ambiente – con le sole eccezioni delle due fattispecie di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e, di più recente introduzione, di combustione illecita di rifiuti, già previste quali delitti – avevano tutti solo natura contravvenzionale. Per i reati di tale natura, la legge, in termini generali, prevede pene che vanno da cinque giorni sino a un massimo di tre anni di arresto, oltre a un’eventuale ammenda, la quale può anche peraltro costituire, per fattispecie minori, l’unica pena. Si vede dunque che, anche laddove per una singola fattispecie sia prevista la pena massima irrogabile per una contravvenzione, essa non può comunque riflettere il pesante disvalore che nel sentire comune viene oggi attribuito agli atti più gravi perpetrati contro l’ambiente. Tra l’altro, alla lievità delle pene corrisponde una brevità dei termini di prescrizione dei reati, che restano pertanto di fatto impuniti. Infatti, tenendo anche conto del tempo che per questo genere di reati può spesso intercorrere tra il loro compimento e il momento in cui vengono scoperti, è assai difficile che entro tali termini i procedimenti vadano oltre il primo grado di giudizio. Oltre alla sostanziale impunità, ne consegue che l’effetto di deterrenza delle sanzioni vi è, di fatto, solo per chi di tale effetto non avrebbe forse neppure bisogno.

Queste considerazioni appaiono ampiamente sufficienti a dimostrare la necessità che ai più gravi reati contro l’ambiente venisse attribuita la natura di delitto. Essa consente infatti la previsione della pena detentiva della reclusione, ben più commisurabile alla loro gravità, oltre che di pene pecuniarie (multe) di entità più elevata. La classificazione di reati come delitti rende poi possibile il ricorso a strumenti di indagine quali le intercettazioni e l’adozione di misure cautelari che impediscano la loro reiterazione.

Inoltre, una legge che prevede che i più gravi reati ambientali siano puniti quali delitti può essere vista, per gli stessi motivi sopra accennati, anche come un perfezionamento dell’attuazione della Direttiva 2008/99/CE, che, per i reati contro l’ambiente, richiede agli Stati membri di stabilire sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive.

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