sabato 17 ottobre 2015

Nel Parco Nazionale del Pollino





Divieto di arrampicata contestato.

Ma le motivazioni per il provvedimento ci sono tutte. #2





Incredibile ma vero! Franco Zunino (Associazione Italiana per la Wilderness - A.I.W.) difende il provvedimento del Direttore del Parco che sospende temporaneamente le arrampicate sportive.





La scrivente Associazione, che in tante occasioni ha sentito il dovere statutario di avanzare critiche ad attività gestionali del Parco Nazionale del Pollino, al contrario di altre associazioni e/o interventi di ambientalisti e/o praticanti attività turistiche, ritiene, pur con alcune riserve, di elogiare quanto deciso dalle autorità del Parco in merito al provvedimento in oggetto, pur, forse, troppo affrettatamente preso.
La motivazione è giusta; forse è solo sbagliata l’emanazione così, di punto in bianco, prima ancora di aver deciso dove applicare i divieti; ma, forse proprio per questo, estesi a tutto il territorio del Parco. Che certi divieti siano sacrosanti in un Parco Nazionale la scrivente Associazione non può che riconoscerlo in quanto in linea con le proprie finalità e con la filosofia che persegue; per cui non sente il dovere di criticarli né tanto meno di condannarli chiedendone l’abrogazione: l’AIW li ha sempre auspicati per ogni area protetta che si rispetti. Tanto più che molti di questi divieti sono anche applicati in molte Aree Wilderness d’America. Consentire certi itinerari, certi sentieri, certe arrampicate, certe discese fluviali o in grotta, non significa dover permettere tutto ciò sempre ed ovunque. Si tratta di stabilire il dove, il come ed il quando. Ma certamente non può esistervi completa libertà di movimento ovunque; altrimenti si arriverebbe a consentire tutto. Est modus in rebus!
Un Parco deve avere il dovere, il potere ed il coraggio di dire NO quando le ragioni di difesa dei valori ambientali cui è preposto lo richiedono; il dovere, il potere ed il coraggio di dire Basta: fin qui sì, più in là no. Nelle lettere che si è avuto modo di leggere, pur nell’evidente tentativo di giustificare le passioni di chi le ha stilate, paiono piuttosto sottilmente indirizzata a giustificare il tutto, mentre non dovrebbe essere così. Mischiare poi la scoperta di specie, di siti, ecc. col diritto ad andare ovunque e sempre è un escamotage per dire voglio andare ovunque e sempre senza limitazioni, anche se disturbo l’aquila o l’orso: è tipico degli escursionisti e degli alpinisti del CAI e di ogni altro organismo a finalità turistica e/o escursionistica; ma è egoistico interesse. Il primo rispetto per le cose ed i luoghi che si amano si dimostra rinunciandovi, quando la presenza diventa un disturbo o un danno: accontentarsi di sapere che certi luoghi o certe cose esistono dovrebbe essere il primo punto di un ipotetico decalogo dell’escursionismo. Specie quando la Natura diventa non tanto un luogo da vedere e di cui godere emotivamente, quanto una palestra per soddisfare piaceri fisico-ludici. Ad esempio, i Navajos hanno da tempo proibito ogni arrampicata sui tanti torrioni della Monument Valley; sul famoso El Capitan della Yosemite Valley vigono precisi divieti per controllare le attività alpinistiche; nello Joshua Tree National Park tante arrampicate sono state da tempo proibite. Nello stesso pur grande e selvaggio Denali National Park hanno posto un limite al numero degli alpinisti che vogliono scalare la vetta del Monte Mc Kinley. Nel Grand Canyon è da anni che il rafting subisce limitazioni di varia natura. E così dicasi per i percorsi in mountain bike su sentieri ed itinerari di montagna al di fuori di strade e/o piste carrozzabili.
Gerardo Travaglio, Direttore del Parco Nazionale del Pollino
Ecco, nel caso che stiamo affrontando, le autorità del Parco del Pollino hanno forse ecceduto, ma non nel voler stabilire regole “talebane”, ma nell’aver deciso a priori di estendere il divieto ovunque con un’urgenza che certamente non ha senso per la maggior parte del Parco. Solo per questo sono da criticare. Per il principio adottato, per una volta tanto le autorità del Parco vanno lodate. Si dialoghi e si trovino i giusti compromessi, che però dovranno anche stabilire quando, dove e quanto essere severamente per il NO. Ed uno dei punti fermi dovrebbe essere il quantum, un altro il dove e il quando nel caso delle nidificazioni di uccelli rapaci o di tane di mammiferi sensbili; ma anche il MAI per certe aree a rischio usura per la roccia o il terreno o per la vegetazione, compreso l’utilizzo di chiodi e simili. D’altro canto, anche una politica di carring capacity andrebbe sempre applicata in gran parte delle aree selvagge dei nostri Parchi, sia per il rispetto delle esigenze della Natura, sia per quelle degli stessi visitatori. Perché solo un numero chiuso può consentire una certa liberalizzazione delle attività.
Giustificare la propria presenza con la presunzione di essere rispettosi (asserzione che è una classica dichiarazione autoassolvente per tutti gli amanti della montagna!), non regge, se a stabilirlo sono gli interessati. Chi deve stabilirlo è un soggetto terzo tra fruitori e Natura: e può esserlo solo l’ente gestore di un’area protetta, che ne ha il mandato giudiziario. Che non si arrivi a ritenere l’apertura di cave, un atto di “valorizzazione” della Natura, solo perché scavandole si scoprono tracce geologiche altrimenti non visibili e quindi non studiabili (ci fu chi lo sostenne!). Ma questo non è conservazione della natura: è attività di studio, ed in un’area protetta anch’esse vanno disciplinate, anche severamente (in molti Parchi americani istituiti per proteggere giacimenti paleontologici è severamente proibito continuare a scavare ovunque; e così l’esplorazione di grotte).
Non si può, da un lato ammirare il concetto delle riserve integrali e pretenderne sempre di nuove, e poi criticarle quando i loro vincoli impediscono il ludico egoistico godimento di chi le vorrebbe liberamente violare! Nella difesa della bellezza e nell’apprezzamento della Natura, la rinuncia è la prima forma di rispetto: perché solo così si rispettano i diritti della Natura, la quale notoriamente non può difendersi o avvalersi di giudici per assicurarseli (i diritti): suoi giudici siamo noi o, meglio, dovremmo essere noi. Il Parco del Pollino in questo caso si è erto a giudice per la Natura; rispettiamo la sua decisione e collaboriamo a trovare la soluzione migliore che accontenti tutti, ma sempre con un occhio di riguardo ALLA NATURA prima che ai nostri ludici egoistici piaceri.

Franco Zunino - Direttore Gen. A.I.W.

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