venerdì 19 gennaio 2018

Morire per le foreste in Kenya

Da The Guardian - 19 gennaio 2018 - di Jonathan Watts


Morire per le foreste in Kenya


Ma a morire non sono attivisti protezionisti. Al contrario, è stato ucciso un pastore indigeno durante un'evacuazione forzata di un villaggio per un progetto di conservazione dell'acqua finanziato dall'U.E.

L'Unione europea è stata accusata di una risposta fatalmente lenta e blanda agli avvertimenti sul rispetto dei diritti umani dopo l'uccisione di un indigeno in uno dei progetti finanziati in Kenya.
Robert Kirotich, un Sengwer - una delle ultime popolazioni forestali del Paese - è stato riferito sia stato ucciso dal Servizio Forestale del Kenya durante uno sfratto forzato per il progetto di conservazione dell'acqua da 31 milioni di euro finanziato dall'UE a Mount Elgon e Cherangani Hills.
Membri della sua comunità hanno detto che le guardie forestali hanno sparato proiettili contro un gruppo di 15 uomini che stavano allevando bestiame a Kapkot Glade. Secondo quanto riferito, gli aggressori hanno bruciato case, ferito un altro uomo - David Kipkosgei Kiptilkesi - e ucciso Kirotich.
"Abbiamo sempre cercato di evitare una situazione così drammatica, ma l'Unione Europea ed il Governo hanno ignorato le nostre grida", ha scritto l'attivista dei Sengwer, Elias Kimaiyo, in una e-mail all'Organizzazione per la Protezione delle Foreste.
Stefano Dejak, l'ambasciatore dell'UE in Kenya, ha condannato l'omicidio ed ha inviato al governo keniota l'avvertimento che l'uso della forza avrebbe comportato una sospensione dei finanziamenti.
Il progetto riprenderà solo "se verranno fornite garanzie che benefici e rispetti tutti i keniani, incluse le comunità indigene", ha detto Dejak al Guardian. Ma questa risposta è stata criticata come tardiva.
Migliaia di case sarebbero state bruciate dai ranger del Kenya Forest Service in un'azione di sgombero sugli altopiani coperti dalla foresta di Embobut, che è un'importante fonte d'acqua.
Il conflitto sulla terra in quelle zone risale all'era coloniale britannica. Più recentemente, è deflagrato come conseguenza della decisione del governo di classificare il territorio ancestrale dei popoli Sengwer e Ogiek come area di conservazione.
Thousands of homes have reported to have been burned down by Kenyan Forestry Service rangers in the Embobut forest.
Una delle operazioni di evacuazione di villaggi in Kenya
per la realizzazione del progetto finanziato dall'U.E.
I residenti sono stati ritenuti occupanti abusivi e costretti a fuggire da quelli che sostengono essere state vessazioni, intimidazioni e arresti da parte del governo kenyota.
L'attenzione sulla questione è aumentata nel 2014 quando centinaia di ONG hanno definito "genocidio culturale" quel che stava avvenendo nei confronti delle popolazioni Sengwer e Ogieke e la Banca Mondiale aveva ammesso che il suo progetto di compensazione del carbonio nell'area stava violando i diritti umani.

L'UE è stata coinvolta nel 2016, quando ha accettato di finanziare il programma di protezione delle torri idriche e di mitigazione dei cambiamenti climatici, sul territorio contestato. Dejak ha affermato che gli impatti sui diritti umani e sociali sono stati valutati in uno studio di fattibilità durante la fase iniziale.
Ma i sostenitori dei Sengwer dicono che i loro avvertimenti sono stati ignorati. Justin Kenrick del Forest Peoples Programme ha detto che l'UE ha finanziato il Servizio forestale del Kenya facendo un passo indietro rispetto alla Banca Mondiale non riconoscendo l'esistenza dei Sengwer e deglii Ogiek.
"La risposta dell'UE è stata estremamente blanda e completamente incoerente con la politica dell'UE per le popolazioni indigene", ha affermato Kenrick. "L'UE non ha imparato dagli errori del progetto della Banca Mondiale".Poco prima dell'uccisione di Kirotich, tre esperti delle Nazioni Unite - John Knox, Michel Forst e Victoria Tauli Corpuz - hanno chiesto al Kenya di fermare gli sfratti ed all'UE a sospendere il suo progetto.
Anche Amnesty International ha sollevato preoccupazioni. La ONG ed altri attivisti sostengono che il modo migliore per proseguire nel progetto è far sì che le popolazioni indigene siano coinvolte nel processo decisionale e nella gestione della foresta.
L'UE, l'ONU ed Amnesty International hanno effettuato una missione esplorativa nella regione nella giornata odierna.





da The Economist - 12 dicembre 2017


Perché le foreste si diffondono

nel mondo ricco 



L'America del Sud e l'Africa sub-sahariana stanno vivendo la deforestazione, ma in Europa è una storia molto diversa.
In Grecia ed in Italia la crescita della superficie forestale, dal 1990 ad oggi, è passata dal 26% al 32%.




Le foreste, in paesi come il Brasile e il Congo, godono di molta attenzione da parte degli ambientalisti ed è facile capire perché. L'America del Sud e l'Africa sub-sahariana stanno sperimentando la deforestazione su vasta scala: ogni anno si perdono quasi 5 milioni di ettari.
L'immagine può contenere: cielo, albero, pianta, nuvola, spazio all'aperto, natura e acqua
Paesaggio del nord del Portogallo,
ai confini con la Spagna. Sullo sfondo, una piantagione
di eucalipti.
Ma le foreste stanno cambiando anche nei ricchi Paesi occidentali. Stanno diventando più grandi, sia nel senso che occupano più terra  sia nel senso che gli alberi sono più grandi. Cosa sta succedendo?
Le foreste si stanno diffondendo in quasi tutti i Paesi occidentali, con la crescita più rapida in luoghi che storicamente avevano scarsa copertura forestale. Nel 1990 il 28% della Spagna era boscoso; ora la percentuale è del 37%. In Grecia ed in Italia la crescita è passata dal 26% al 32% nello stesso periodo. Le foreste stanno gradualmente prendendo più terra in America ed in Australia. Forse la cosa più sorprendente è la tendenza in Irlanda. Circa l'1% di quel paese era coperto da foreste quando divenne indipendente nel 1922. Ora le foreste coprono l'11% del territorio e il governo vuole spingere la percentuale al 18% entro il 2040.
Due cause su tutte sono alla base di questa crescita. Il primo è l'abbandono dei terreni agricoli, specialmente in luoghi ad altidudine elevata e riarsi, dove nulla cresce adeguatamente bene. Laddove gli uomini rinunciano a ricavare reddito da olive o da pecore, lì gli alberi semplicemente si insediano. 

L'"inverdimento" dell'Occidente non delizia tutti. Gli agricoltori lamentano che le piantagioni di alberi generosamente sovvenzionate sono state dismesse (ricevono anche sussidi per l'agricoltura, ma quelli per piantare alberi sono particolarmente generosi).

Il secondo è composto da politica e sussidio economico. I governi hanno protetto e promosso le foreste per diversi motivi che vanno dalla necessità legname per la costruzioni di navi da guerra in legno al desiderio di promuovere la costruzione di case suburbane. Sempre più spesso accolgono le foreste perché consentono la cattura e lo stocccaggio di carbonio. Le giustificazioni cambiano; il desiderio di più alberi rimane costante.
L'"inverdimento" dell'Occidente non delizia tutti. Gli agricoltori lamentano che le piantagioni di alberi generosamente sovvenzionate sono state dismesse (ricevono anche sussidi per l'agricoltura, ma quelli per la piantagione di alberi sono particolarmente generosi). Zone estese di Spagna e Portogallo sono afflitte da terribili incendi boschivi. Questi bruciano particolarmente violenti nelle aree con piantagioni di eucalipto, una specie di importazione australiana piantata per la sua polpa utile alle cartiere, ma che poi si è diffusa da sola. Altri semplicemente non amano l'aspetto delle foreste di conifere piantate in file ordinate. Dovranno abituarsi agli alberi, comunque. La crescita delle foreste occidentali sembra quasi altrettanto inesorabile della deforestazione altrove.

giovedì 18 gennaio 2018

Da The Guardian - 17 gennaio 2018 - di  Patrick Barkham



Il nonsense per l'Albanella reale
dopo la Brexit




Il governo di Theresa May, vorrebbe rimuovere dai nidi i pulli della specie a rischio di estinzione ed allevarli in cattività per placare i proprietari di brughiere che lamentano l'aumento di predazione di pernice bianca (Lagopus lagopus scotica) da parte del rapace.





I controversi piani del governo per rimuovere i pulcini dai nidi di uno degli uccelli più rari d'Inghilterra ed allevarli in cattività sono stati criticati come "assurdità" dagli ambientalisti.
Pulli o uova di albanella reale (Circus cyaneus) saranno rimossi dai nidi nel nord dell'Inghilterra e allevati in cattività prima di essere reintrodotti in natura, sotto i termini di una licenza biennale rilasciata da Natural England, l'organismo di controllo del governo.
Lo schema di "gestione della covata" è progettato per aumentare il numero di esemplari di albanella reale ma anche per placare i proprietari di brughiere che si oppongono all'incremento di predazioni di pernici bianche da parte delle albanelle. Si spera così di fermare gli atti di bracconaggio nei confronti delle albanelle reali, dando ai proprietari terrieri il conforto che le popolazioni del rapace non si espanderanno nelle loro brughiere.
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Esemplare di Albanella reale (Foto: Giuseppe Nuovo)
Ma l'RSPB (Royal Society for Protection of Birds) ha detto che l'albanella reale è sull'orlo dell'estinzione come specie nidificante in Inghilterra a causa della persecuzione illegale ed ha chiesto al segretario dell'ambiente, Michael Gove, di revocare la licenza definita "ridicola".
Un portavoce dell'RSPB ha dichiarato: "L'idea che la gestione della covata sia di aiuto all'albanella reale è un'assurdità. Così si facilita l'insostenibile gestione intensiva del territorio che sta distruggendo i nostri terreni montuosi. Per essere chiari, la RSPB è assolutamente contraria a questo non lo permetteremo mai sulle nostre proprietà".
 In Inghilterra, solo tre nidi di albanella reale hanno prodotto pulcini nel 2017, nonostante gli ecologi abbiano calcolato che l'habitat delle brughiere avrebbe naturalmente potuto ospitare almeno 300 coppie.
La gestione della covata è parte del piano di azione per l'incremento dell'albanella reale del Dipartimento per l'ambiente, l'alimentazione e gli affari rurali, che mira a ridurre la predazione dei piccoli di pernice da parte delle albanelle, incrementando la popolazione di queste ultime.
Andrew Sells, presidente di Natural England, ha dichiarato: "È un quadro complicato ed emotivo della situazione ed abbiamo considerato quest Piano con molta attenzione. Concedere in licenza questo processo permetterà di raccogliere importanti evidenze che, spero sinceramente, porteranno ad una popolazione autosufficiente e ben dispersa di questi meravigliosi uccelli in tutta l'Inghilterra".
Amanda Anderson, direttrice della Moorland Association, si è detta soddisfatta della 'rivoluzionaria licenza di ricerca'. "La brughiera gestita per la pernice bianca contribuisce in modo significativo alle comunità rurali, alle aziende ed ai paesaggi preziosi. Questa nuova licenza di gestione della fauna selvatica darà ai proprietari terrieri la sicurezza che gli impatti dell'albanella reale sulla loro terra possano essere ridotti al minimo, creando uno scenario vantaggioso per tutti".
L'esperto di fauna selvatica Mark Avery ha condannato il Piano di azione: "Defra ha una posizione 'morbida' sui crimini contro la fauna selvatica e sulle loro cause. È completamente avvinghiato a letto con l'industria della caccia alla pernice ed il compito di Natural England è quello di sprimacciare i cuscini, lisciare le lenzuola e fornire bottiglie di acqua calda".

Da Los Angeles Times - 16 gennaio 2018




Los Angeles ha bisogno di spazi aperti per la natura e per la salute
dei cittadini


Nell'editoriale del "
board" del grande quotidiano della west coast statunitense, una presa di posizione importante per il futuro della "città degli angeli": mantenere spazi adeguati per la fauna selvatica. Quello che un giornale dovrebbe sempre fare, informare e formare l'opinione pubblica. E noi ce la meniamo per qualche cinghiale...



Per anni, gli sviluppi residenziali nelle colline e nei canyon di Los Angeles hanno impattato la fauna selvatica mentre i nostri quartieri si sono diffusi a macchia d'olio.
Non sorprende che continuiamo ad espanderci; la città ha più persone di quante non ne ha mai avute e abbiamo bisogno disperatamente di alloggi. Ma abbiamo anche bisogno di spazi aperti, non solo per la nostra salute mentale e per la bellezza della nostra città, ma anche se ci interessa mantenere una popolazione di fauna selvatica urbana.
Un modo per preservare lo spazio aperto è comprarlo. Questo è ciò che un'alleanza di gruppi di comunità e di difensori della fauna selvatica ha promesso di fare per proteggere un promontorio di 17 acri (quasi 7 ettari, n.d.t.) sulle colline di Hollywood, sopra il quartiere di Laurel Canyon. Due anni dopo aver iniziato la campagna di raccolta fondi, Citizens for Los Angeles Wildlife, un gruppo di conservazione della natura senza scopo di lucro, e Laurel Canyon Association., un'organizzazione di quartiere, hanno annunciato a fine dicembre di aver raccolto con successo 1,6 milioni di dollari per acquistare la collina. Le donazioni provengono da individui (inclusi 100.000 dollari dal musicista Don Henley) quali la Santa Monica Mountains Conservancy Foundation, Paul Koretz e David Ryu, membri del consiglio comunale di Los Angeles, che hanno contribuito con proprio denaro, e Sheila Kuehl, supervisore della contea, che ha convinto il Consiglio dei Supervisori (una sorta di Collegio di Revisione ma con competenze ben più ampie n.d.t.) ad approvare una sovvenzione di 100.000 dollari.

"È impegnativo, ma è possibile lasciare spazio nella vivace metropoli per la fauna che era qui da molto prima di noi"

È stato uno sforzo ambizioso della comunità che salverà quella che è in effetti un'oasi per creature altrimenti bloccate in una città sempre più densa. Chiunque dubiti della sua importanza per quegli animali non ha che guardare la "nature cam" sul sito web della riserva che ha fotografato cervi, coyote, quaglie, una lince rossa, una volpe ed un inaspettato leone di montagna (puma). Il terreno è stato ora assegnato alla Mountain Recreation & Conservation Authority, un'entità governativa locale, per gestire e preservare quel territorio. Ciò rende il la Riserva pubblica, aperta a tutti, anche se è difficile accedere e non ha sentieri escursionistici. Per lo più, sono gli animali che usano questo lembo di terra e bevono dalla sua sorgente naturale. Per loro, questa è la definizione di un bene prezioso.
Tuttavia, ci dovrebbero essere modi meno drammatici e meno costosi per aiutare gli animali a sopravvivere. In effetti, la città ha approvato circa due anni fa un'ordinanza che richiede ai titolari di concessioni edilizie una zona di collegamento con gli habitat naturali destinata a corridoio per la fauna selvatica. Il problema è che l'ordinanza deve ancora essere implementata. La città dovrebbe muoversi.
leone di montagna
Puma (Puma concolor) immortalato da fototrappole
nella Riserva di Santa Monica, sulle colline di Los Angeles
Recentemente, il Dipartimento della California per la Pesca e la Fauna selvatica sta cambiando la sua politica nelle aree montuose di Santa Ana e Santa Monica per il rilascio di "permessi di abbattimento" richiesti da residenti i cui animali domestici o il cui bestiame siano stati uccisi dai leoni di montagna. Fino ad ora, questi permessi hanno consentito a costoro di uccidere il leone di montagna, nonostante le leggi rendono illegale la sua caccia. Le interazioni tra i leoni di montagna e gli esseri umani - o, più specificamente, i loro animali domestici - sono aumentate man mano che le persone si sono avvicinate al territorio naturale. Il problema è che quando i leoni di montagna uccidono prede facili fanno solo ciò che viene loro naturale. Abbatterli per vendetta non è una politica valida per affrontare queste interazioni.
Ora, invece di rilasciare immediatamente un permesso per uccidere un leone di montagna dopo che ha ucciso un animale, il Dipartimento, in sostanza, concede al puma tre predazioni prima di emettere un permesso di abbattimento. Alla prima segnalazione di un leone di montagna che ha ucciso un animale domestico o un animale da allevamento, al residente verranno insegnate le misure di prevenzione da adottare (come la protezione degli animali nei recinti di notte in modo che non diventino facili prede). Gli sarà anche concesso un permesso per abbagliare o scacciare il leone, ad esempio, con luci sensibili al movimento o musica ad alto volume. Se il leone di montagna ritorna e uccide di nuovo, il residente può ottenere un permesso per aumentare le misure, ad esempio sparare colpi di fucile con cartucce cariche di fagioli. Se il leone di montagna uccide una terza volta, può essere rilasciato un permesso per il suo abbattimento. Questo è un approccio razionale perché protegge queste maestose creature a meno che non sia chiaro che non è possibile scoraggiare le predazioni.
La Contea di Los Angeles è uno straordinario mix di città e natura selvaggia, di uomini e fauna selvatica. È una sfida, ma è possibile lasciare spazio nella vivace metropoli per la fauna selvatica che era qui da molto prima di noi.

mercoledì 17 gennaio 2018



Sempre a proposito delle buste compostabili - L'Università di Bari l'aveva già verificato




I nuovi bioshopper poco biodegradabili/2


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Tra il 2004 ed il 2005 l'Università degli Studi di Bari, ex Facoltà di Agraria, ha sperimentato l'uso delle bioplastiche in agricoltura e la loro biodegradabilità rilevando che la degradazione avviene lentamente nell'arco di circa un anno soltanto mediante interramento delle plastiche sminuzzate con una motozappa in suolo umido.
Durante la sperimentazione fu verificato che in acqua il processo non si verificava poiché era eseguito da batteri e da altri microrganismi presenti solo nel suolo umido. I risultati sono simili a quelli ottenuti oggi dall'Università di Pisa.

I progetti di ricerca con i quali furono testati una serie di film plastici ottenuti da Mater-Bi della Novamont, erano:

  • Progetto di ricerca Europeo RTD Quality of Life and Management of Living Resources "Biodegradable plastics for environmentally friendly and low tunnel cultivation – BIOPLASTICS" (Contract n.: QLK5-CT-2000-00044) finanziato dalla Comunità Europea;
  • Progetto di ricerca Europeo Life Environment "Biodegradable coverages for sustainable agriculture BIO.CO.AGRI." (Contract n.: Life 03 ENV/IT/000377) sul tema "Film biodegradabili innovativi per applicazioni agricole" finanziato dalla Comunità Europea;
  • Progetto di ricerca Europeo E.C. SME-CRAFT: "Development of protective structures covered with permeable materials for agricultural use - Agronets" (Contract n.: COOP-CT -2003-507865), finanziato dalla Commissione Europea.

da ANSA.it/Ambiente ed Energia del 17 gennaio 2018




I nuovi bioshopper poco biodegradabili





Studio dell'Università di Pisa toglie il velo alle ipocrisie. Se vanno a finire in mare, il danno c'è comunque. Ecco perché la recente norma che obbliga ad evidenziare il costo del sacchetto sugli scontrini appare ancora più assurda. 





Ci vogliono più di sei mesi al mare per "smaltire" i bioshopper ecologici che in ogni caso possono comunque alterare lo sviluppo delle piante e modificare alcune importanti variabili del sedimento marino ossigeno, temperatura e ph. Lo rivela uno studio condotto da un team di biologi dell'Università di Pisa e pubblicato sulla rivista scientifica 'Science of the Total Environment'. Il gruppo composto da Elena Balestri, Virginia Menicagli, Flavia Vallerini, Claudio Lardicci ha ricreato un ecosistema in miniatura per analizzare i potenziali effetti diretti o indiretti dell'immissione nell'ambiente marino delle nuove buste in bioplastica, la cui diffusione si prevede possa aumentare nei prossimi anni fino a raggiungere livelli simili a quelli delle buste tradizionali. "La nostra ricerca - sottolinea Lardicci - si inserisce nel dibattito sul 'marine plastic debris', cioè sui detriti di plastica in mare, tema globale e purtroppo molto attuale: abbiamo potuto verificare che anche le buste biodegradabili di nuova generazione attualmente in commercio hanno comunque tempi di degradazione lunghi, superiori ai sei mesi".
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Come "specie modello" i ricercatori hanno selezionato due piante acquatiche tipiche del Mediterraneo, la Cymodocea nodosa e la Zostera noltei, valutando quindi la loro risposta a livello di singola specie e di comunità rispetto alla presenza nel sedimento di bioplastica compostabile. Lo studio ha quindi esaminato il tasso degradazione delle buste e alcune variabili chimico/fisiche del sedimento che influenzano lo sviluppo delle piante. "La nostra ricerca - conclude il biologo pisano - è l'unica ad aver valutato i possibili effetti della presenza di bioplastiche sui fondali marini e sulla crescita di organismi vegetali superiori: i rischi di una possibile massiccia immissione di plastiche cosiddette biodegradabili nei sedimenti marini e gli effetti diretti e indiretti del processo di degradazione sull'intero habitat sono in gran parte ignorati dall'opinione pubblica e non ancora adeguatamente indagati dalla letteratura scientifica".



da "Le Scienze - edizione italiana di Scientific American" del 17 gennaio 2018


I veri responsabili della Peste Nera



Le pandemie non furono colpa dei ratti ma di vettori infettivi diversi: la pulce dell'uomo ed il pidocchio del capo.




Le ondate di peste che colpirono l'Europa tra il XIV e i XIX secolo, tra cui la famigerata Peste Nera della metà del 1300, probabilmente furono causate da un contagio diretto da persona a persona, con pulci e pidocchi come vettori. Lo afferma uno studio basato su dati di diffusione e mortalità raccolti in varie fonti storiche, che scagiona i ratti dal ruolo di untori.
Nel film di Werner Herzog Nosferatu (1979) i moli del porto di Brema, in Germania, vengono invasi dai ratti arrivati con le navi. Poco dopo, la peste si diffonde nella città.
La scena è ispirata dal fatto che negli studi di epidemiologia - e nell’immaginario collettivo - questi roditori sono considerati il vettore della peste, sia nella cosiddetta "prima pandemia", più famosa col nome di Peste di Giustiniano, che colpì l'Impero Romano d'Oriente tra il 541 e il 542, sia nella “seconda pandemia”, che colpì in diverse ondate l’Europa tra il XIV e il XIX secolo, oltre al Medio Oriente e al Nord Africa; una di queste ondate, nota con il lugubre nome di Peste Nera, tra il 1347 e il 1352 uccise un terzo della popolazione europea.
I veri responsabili della Peste Nera
Microfotografia di Pulex irritans, la pulce dell'uomo
Ma fu veramente colpa dei ratti? Uno studio pubblicato su "Proceedings of the National Academy of Sciences" da Nils Stenseth dell’Università di Oslo, in Norvegia, e colleghi, tra i quali Barbara Bramanti dell’Università di Ferrara, chiama in causa vettori infettivi diversi: la pulce dell’uomo (Pulex irritans) e il pidocchio del capo (Pediculus humanus).
La peste è una malattia provocata dall’infezione del batterio Yersinia pestis. Le forme più comuni sono la peste bubbonica e quella polmonare. La prima insorge quando i batteri penetrano attraverso la pelle, di solito con il morso di una pulce infetta, e arrivano nei linfonodi, causando i caratteristici gonfiori o “bubboni”.
La pulce in questo caso funge solo da vettore di un'infezione diffusa tra roditori selvatici o commensali dell'uomo, come il ratto (Rattus rattus), ma l'infezione può anche essere trasmessa da persona a persona tramite i parassiti che vivono sulla superficie della pelle, come la pulce e il pidocchio.
Si parla invece di peste polmonare primaria quando i batteri sono trasportati da particelle di aerosol che vengono inalate, e di peste polmonare secondaria, che insorge come complicanza della peste bubbonica. I soggetti infettati dalla forma polmonare possono trasmettere direttamente l’infezione per via aerea, anche se le epidemie di peste polmonare in genere fanno meno vittime e si diffondono poco, poiché le persone colpite e non curate muoiono rapidamente.
Per capire in che modo si siano diffuse le epidemie storiche, Stenseth e colleghi hanno usato i dati di mortalità disponibili di nove epidemie di peste polmonare; l'obiettivo dei ricercatori era lo sviluppo di modelli delle vie di trasmissione della malattia, quella veicolata dai roditori e quella da pulci e pidocchi.
I modelli ottenuti hanno mostrato che in sette dei nove eventi studiati, gli schemi di mortalità sono maggiormente compatibili con il modello di trasmissione tramite pulci e pidocchi.
Questa conclusione spiegherebbe perché la seconda pandemia abbia avuto una diffusione ed una mortalità molto più elevata delle epidemie della terza pandemia, che si sviluppò a partire dal 1855 dalla provincia dello Yunnan, in Cina.
Ed è un risultato anche più coerente con altri dati storici ed epidemiologici. Nei secoli interessati dalla seconda pandemia, infatti, non risulta che i ratti fossero molto diffusi in nord Europa, né che ci sia stata una diffusa moria di questi roditori contemporanea o immediatamente precedente alle epidemie. Molte infezioni, infine, avvennero in ambienti domestici, il che fa pensare ad una via di trasmissione più diretta.